Attendesi segno da Napolitano

Giulio Meotti

A due giorni dal taglio del nastro per l'inizio della Fiera del libro di Torino, alla presenza del presidente Giorgio Napolitano, il direttore Ernesto Ferrero si aspetta un clima sereno, “certi che prevarrà la ragione”. Fino ad ora l'unica certezza è che Napolitano andrà a presenziare una manifestazione fallimentare sul diritto a esistere di Israele.

    A due giorni dal taglio del nastro per l'inizio della Fiera del libro di Torino, alla presenza del presidente Giorgio Napolitano, il direttore Ernesto Ferrero si aspetta un clima sereno, “certi che prevarrà la ragione”. Fino ad ora l'unica certezza è che Napolitano andrà a presenziare una manifestazione fallimentare sul diritto a esistere di Israele. Prima di oggi nessuno stato, per giunta l'unico nato da una decisione delle Nazioni Unite, aveva mai subito un simile fuoco ideologico. Neppure nel periodo più cupo della Guerra Fredda si è pensato di interrompere le relazioni culturali con l'Urss. Sulla bandiera d'Israele, popolo e focolare dei dispersi e dei salvati, che porta i colori bianco e azzurro della tradizione ebraica decimata nell'Europa delle fiere librarie, il ministro Giuliano Amato non ha saputo spendere parole che consentissero di sventolarla nel giorno dell'inaugurazione. Saranno liberi soltanto gli intolleranti di bruciarla a piene mani. La dirigenza di Torino doveva mostrare orgoglio nell'ospitare per il sessantesimo anniversario d'Israele i suoi scrittori “sionisti”, come Aharon Appelfeld. Assisteremo invece a una sfilata di “equidistanti”. Lo spirito di una meritevole iniziativa come “Israele tra noi”, vero significato della Fiera, l'abbraccio nella tragedia e nella libertà, doveva essere imposto all'insegna di una solidarietà esistenziale. Anche per quel popolo palestinese distrutto da anni di corruzione e faide. Qui non si tratta più di rispondere a Gianni Vattimo, che all'Infedele chiama “fascista” Fiamma Nirenstein, senza che Gad Lerner, che teme di essere confuso con i “guerrafondai israeliani”, le concedesse la possibilità di rispondere. Il caso è europeo, l'edizione parigina della Fiera è sottoposta allo stesso linciaggio. “Torino medaglia d'oro della Resistenza sventoli la bandiera d'Israele” chiede Roberto Della Seta del Partito democratico. Il problema è proprio l'uso del termine “fascista” da parte della cultura azionista dominante. Non lo ha risparmiato allo statista e generale Ariel Sharon, alle comunità ebraiche che hanno abbandonato pacificamente Gaza, all'esercito di Tsahal impegnato nello snidamento delle cellule terroristiche e a quella diaspora americana che il poeta Tom Paulin chiama “SS sioniste”. Su questo terreno fertile cadono le parole di Mahmoud Ahmadinejad, nella forma di una delegittimazione d'Israele, che respira fra la vita e la morte.
    La minaccia al diritto di esistere d'Israele non è uno scherzo da accogliere con indulgenza o indifferenza. Come scrive Gerald Steinberg sul Jerusalem Post, “il più grande successo di Israele in sessant'anni di indipendenza è la sopravvivenza, essere sulla mappa come stato sovrano”. Negli ultimi due mesi abbiamo visto studenti rabbinici massacrati, 200.000 israeliani sotto la minaccia dei razzi palestinesi e una decina di kibbutzim uccisi durante le incursioni di Hamas, come i feddayin negli anni cupi del nasserismo. La fiera doveva accogliere l'eco di questa mattanza. Ma dopo tutto, ci dicono, Israele è forte. E i palestinesi sono deboli. E le minacce arabe sono a uso e consumo interno, Ahmadinejad è “un pazzo”.
    Per il matematico Ronnie Fraser il boicottaggio è figlio di una “mentalità razzista”, per lui i satrapi dell'annientamento e i musicanti antisionisti come Theodorakis hanno qualcosa in comune. Non è virtuale. Paul Zinger dell'Associazione scientifica d'Israele rivela al Telegraph che la maggior parte delle settemila ricerche mandate da Israele all'estero ogni anno torna indietro. Citandone una, Oren Yiftachel dell'Università Ben Gurion se l'è vista rifiutare con una nota che lo informava che il Political Geography non accettava niente che provenisse da Israele. A Judea Pearl, il padre del giornalista del Wall Street Journal ucciso in Pakistan, l'infame boicottaggio ne ricorda un altro. “Nel 1934 Nature, principale rivista scientifica britannica, conteneva due lettere dello scienziato tedesco Johannes Stark, premio Nobel della fisica, in cui spiegava ai colleghi inglesi perché i professori ebrei dovevano essere cacciati dalle università. E' istruttivo leggere queste lettere per ricordare”.
    Mentre Israele piangeva i martiri dell'Olocausto durante Yom Ha Shoah, mentre iniziava la “Marsch der Lebenden” al suono dello shofar davanti alla scritta “Arbeit macht frei”, Hamas si rivolgeva così al mondo: “L'Olocausto fu perpetrato dagli stessi israeliani affinché gli ebrei potessero approfittare della simpatia internazionale”. Spazzatura a cui la nostra intellighenzia, da Repubblica al Guardian, non osa rispondere. Il ministro della cultura siriano, Riyad Na'san Al Agha, mentre a Torino si bruciano le bandiere israeliane, si dice “ottimista sul fatto che entro dieci anni Israele sarà arrivato alla fine”. La minaccia dello sterminio è una promessa, ma in occidente i custodi della memoria usano distinguere fra l'antisemitismo, condannato con animo pietistico fino a rendere digeribile l'Olocausto, e il veleno antisionista. A Torino è passato anche il trucco “un conto è la politica d'Israele, un conto è la cultura”. Falso e subdolo. Il figlio di David Grossman è morto difendendo Israele da Hezbollah, boicottatrice di Torino. Il capo di stato maggiore israeliano Gabi Ashkenazi, uno dei più grandi comandanti della storia ebraica, nel cratere di Auschwitz ha detto che non è scontata la sopravvivenza d'Israele e che la stella di David da simbolo del collasso giudaico è oggi il segno della rinascita. Sarebbe bello se Napolitano usasse le stesse parole a Torino, ora che i forni dell'odio sono a pieno regime.
    A un solo soldato americano che ha combattuto per un esercito straniero è stata concessa la sepoltura nel cimitero dell'accademia di West Point. Si chiamava David Marcus e cadde nella guerra israeliana del 1948, dopo aver servito sotto Ben Gurion. Per questo a Torino la bandiera bianca e azzurra d'Israele è stata e sarà bruciata insieme a quella a stelle e strisce. Perché sono entrambi pegni irrinunciabili della nostra libertà.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.