Una doppia e storica cerimonia per i postfascisti

In alto a destra

Alessandro Giuli

Nel giorno del duplice insediamento, passato e futuro della destra italiana si toccano lungo la dorsale che congiunge Montecitorio al Campidoglio. Gianfranco Fini assume la presidenza della Camera, Gianni Alemanno fa la prima apparizione ufficiale da sindaco. Potrebbe essere ricordata come la giornata nella quale un ciclo si compie e un altro cerca di aprirsi la via. Il leader ultraventennale dell'Msi/An si consegna nel salone un po' polveroso delle riserve repubblicane, ma al tempo stesso tocca un traguardo più che personale: conduce i postfascisti alla piena legittimazione istituzionale e lo fa occupando la terza carica dello stato.

    Roma. Nel giorno del duplice insediamento, passato e futuro della destra italiana si toccano lungo la dorsale che congiunge Montecitorio al Campidoglio. Gianfranco Fini assume la presidenza della Camera, Gianni Alemanno fa la prima apparizione ufficiale da sindaco. Potrebbe essere ricordata come la giornata nella quale un ciclo si compie e un altro cerca di aprirsi la via. Il leader ultraventennale dell'Msi/An si consegna nel salone un po' polveroso delle riserve repubblicane, ma al tempo stesso tocca un traguardo più che personale: conduce i postfascisti alla piena legittimazione istituzionale e lo fa occupando la terza carica dello stato. Alemanno incorona se stesso come capobranco dal futuro di prima grandezza attraverso la cerimonia che segue il plebiscito elettorale romano. Due insediamenti che rivelano caratteri e intenti diversi, nella loro solidarietà politica. Fini aveva un compito perimetrato, doveva rassicurare e assicurarsi un ruolo di garante. Ha sbagliato soltanto il colore della cravatta, è piaciuto a tutti quando ha sollecitato la nascita di una legislatura costituente e magnificato i due capisaldi del calendario democratico: 25 aprile e primo maggio. Anche il “deferente omaggio” laico a Ratzinger e il ragionamento elementare sui pericoli del relativismo sono apparsi intonati. Sotto il segno della misura che non brilla ma nemmeno intimorisce, Fini ha completato la parte più importante della propria biografia e di quella che appartiene alla sua destra.
    Reduce da un pranzo con l'ambasciatorte israeliano, Alemanno aveva invece il compito di mantenere vicino al punto di fusione il calore della presa di Roma. Senza strafare. Ma si è svelato quando ha promesso che rimuoverà la teca sovrastante l'Ara Pacis. Non la giudica un'emergenza, prima ci sono gli immigrati delinquenti da mandar via – mercoledì riunirà il comitato per la sicurezza – ma lo farà. Per lui è il momento dell'orgoglio, del balcone al Campidoglio che lo fa sentire “al centro del mondo” e degli appuntamenti con le cariche istituzionali (oggi con Napolitano al monumento per le vittime del lavoro). S'intuisce che l'uomo è sorretto dal consenso popolare e dall'ambizione di non fermarsi.

    I giudizi di Battista e Berselli
    Secondo Pierluigi Battista, vicedirettore del Corriere della sera, così “si è chiuso veramente il dopoguerra. Si era detto già nel 1993, quando Fini vinse perdendo per pochi voti contro Rutelli a Roma, poco prima che l'Msi venisse sdoganato dall'esperienza di governo”. Ora c'è qualcosa di ulteriore e definitivo. “Il maldestro tentativo di arginare la ‘marea nera' risfoderando il lessico del pericolo fascista è stato smentito dai sessantamila elettori non di destra che hanno votato Zingaretti alla provincia e Alemanno al comune di Roma. Questo è il definitivo, solenne e plebiscitario sigillo per un'epoca trascorsa”. Dopodiché c'è la consacrazione finiana. Secondo Battista, rispetto a quello detenuto dal sindaco di Roma, Fini ha scelto “un potere onorifico” ma dall'altissimo valore simbolico. “Ed è un bene che questo avvenga nel momento in cui i partiti ancora legati al richiamo comunista e fascista sono stati estromessi dal Parlamento. Per riscrivere insieme le regole costituzionali, è indispensabile che i protagonisti possano riconoscersi”. Certificato una volta ancora il superamento dell'esame per la patente democratica, resta la prova più ardua. “Governare decentemente: per certi versi è la prima e l'ultima occasione per non farsi brutalmente cacciare fra cinque anni”.
    Edmondo Berselli, editorialista del gruppo l'Espresso, calibra il ragionamento sul confronto tra le due figure della destra di potere. “Fini è un politico consumato nelle aule e nei salotti. E' raffigurabile con la storia di quel suo deputato il quale un giorno, dopo aver tanto cercato Fini, sentendosi rispondere che aveva troppo da fare, fece irruzione nella sua stanza trovandolo davanti a una partita di football americano trasmessa in tv”. Quanto ad Alemanno, “ha vinto soprattutto per l'autolesionismo del centrosinistra”. Tuttavia “è uno che interpreta la politica come esercizio fisico, ha appena riequilibrato la vittoria della Lega sopra e sotto il Po e non sarà un delfino octroyé, ricattabile e in aspettativa. Alemanno è il portatore potenziale di una leadership alternativa giocabile anche in modo ruvido”. E' quel che avevano pensato alcuni candidati del Pdl radunati in un cinema romano prima del voto. Al momento in cui Alemanno fece ingresso nella sala fu applaudito forte e il Cav. gli disse sorridendo che stava rubando la scena. Allora Alemanno invitò Fini a salire sul palco e a molti fu chiaro che, se Berlusconi è il leader degli elettori, l'ex capobranco missino potrà essere il leader di chi fa politica.