Tutta la campagna pazza minuto per minuto

Storia di una lista non programmata - Versione integrale

Maurizio Crippa

Direttore: “Allora che facciamo? Scrivo un appello per la moratoria sull'aborto?”.
Vicedirettore: “Sull'aborto?!?”.
Direttore: “Ma sì, sono tutti così soddisfatti per la moratoria sulla pena di morte, vediamo cosa dicono di questo”.


Martedì 18 dicembre 2007, due colonne d'apertura e titolo rosso su due righe, c'era ancora “Il manifesto politico di W”. Mercoledì 19 dicembre resisteva ancora in apertura un titolo rosso, ma su una riga sola, come già vergognoso di perdere tempo dietro alle quisquilie di un'incipiente campagna elettorale piccina e meschina. Ma al centro pagina c'era un bel titolo blu, in tondo minuscolo, come chi è sicuro delle proprie ragioni e non ha bisogno di strillare: “Appello, ora la moratoria per l'aborto”.

    Direttore: “Allora che facciamo? Scrivo un appello per la moratoria sull'aborto?”.
    Vicedirettore: “Sull'aborto?!?”.
    Direttore: “Ma sì, sono tutti così soddisfatti per la moratoria sulla pena di morte, vediamo cosa dicono di questo”.


    Martedì 18 dicembre 2007, due colonne d'apertura e titolo rosso su due righe, c'era ancora “Il manifesto politico di W”. Mercoledì 19 dicembre resisteva ancora in apertura un titolo rosso, ma su una riga sola, come già vergognoso di perdere tempo dietro alle quisquilie di un'incipiente campagna elettorale piccina e meschina. Ma al centro pagina c'era un bel titolo blu, in tondo minuscolo, come chi è sicuro delle proprie ragioni e non ha bisogno di strillare: “Appello, ora la moratoria per l'aborto”. Testo: “Questo è un appello alle buone coscienze che gioiscono per la moratoria sulla pena di morte nel mondo, votata ieri all'Onu da 104 paesi. Rallegriamoci, e facciamo una moratoria per gli aborti”. E poi un invito a riflettere “sulla strage eugenetica, razzista e sessista degli innocenti”. Un giorno ancora, e la “Grande Moratoria sulla vita negata dall'aborto, pena di morte legale e di massa” s'era già presa il Foglio. Un titolo rosso, dirimente come una lama di verità, “Obiezioni e adesioni”, riapriva nel cuore e nella pancia della società il dibattito per decenni negato sul grande scandalo del nostro tempo. La piccola, grande storia della campagna per la moratoria internazionale sull'aborto e della Lista Pazza comincia così, in fretta e senza premeditazione. Quasi dal nulla, ma non dal nulla. Nasce anzi da un pozzo profondo di ragioni, da un archivio di memorie e verità personali e collettive dentro e attorno a un piccolo giornale e al suo direttore. Nasce dalle lontane prese di posizione di Bretelle Rosse contro la Ru486, datate 1989; e da una lunga serie di fatti, di cose pensate dette scritte, da campagne contro la scienza di Frankenstein e la dittatura dei desideri come è stata quella contro il referendum sulla legge 40. Una scintilla. Tutto comincia con un “ragionamento di evidenza illuministica”, come scriverà pochi giorni dopo Paolo Viana sull'Avvenire. Già il primo giorno, suonano a favore le parole del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente di Giustizia e Pace, che ricorda all'Onu i “milioni di esecuzioni silenziose” dell'aborto.

    La querelle con Sofri
    Così il 21 dicembre, mentre il mondo (post)cristiano prepara brindisi e panettoni, scatta l'ora della dieta liquida: il non-sciopero della fame – mezzo abusato – per chiedere attenzione alla vita “contro l'ipocrisia e la bruttezza di un mondo in cui la morte viene bandita in nome del diritto universale alla vita e blandita, coccolata, come un dramma collettivo”. Poche righe sotto, è già iniziata anche la querelle con Adriano Sofri, che si compirà tre mesi dopo con un libro “Contro Giuliano” lanciato a bomba sulla campagna elettorale. Sofri sarà punto di riferimento dialettico mai banale. Pone il problema della legittimità stessa di parlare, con lingua maschile, di ciò che ritiene riguardare anzitutto le donne. Avanza subito il dubbio che la richiesta di moratoria possa portare alla “conservazione o al ripristino della ‘morte illegale'. Cioè della clandestinità dell'aborto e della persecuzione legale delle donne in carne e ossa. Che non è, finora, l'orizzonte dichiarato del redattore dell'appello, e mi auguro non lo diventi mai”. Non lo è diventato, ovviamente. Ma non c'è stato verso di convincerne Sofri.
    Arrivano a valanga lettere, interventi, adesioni, commenti. Riempiranno pagine e pagine, addirittura quattro libri. Se ne accorgono presto anche gli altri giornali. Michele Brambilla sul Giornale scrive che un popolo sommerso, silenzioso, culturalmente subalterno per trent'anni, il popolo della vita, ha trovato finalmente una voce, un luogo per farsi sentire. Parlano anche le donne, le femministe o le ex. Molti dubbi, il rifiuto netto di chi si è sentita “culturalmente stuprata”, come scrive Franca Fossati. Ma anche coscienza di un cambiamento avvenuto, o necessario. La storica Anna Bravo dice: “Se l'utero è abitato, necessariamente non è più solo tuo”.
    La moratoria decolla, scandita da interventi importanti.
    Il 31 dicembre, a sorpresa al Tg5, è il cardinale vicario di Roma, Camillo Ruini, a rompere l'indugio di una chiesa che guarda quasi attonita: “Credo che dopo il risultato felice ottenuto riguardo alla pena di morte fosse molto logico richiamare il tema dell'aborto e chiedere una moratoria”. Dall'Onu Ruini ritorna all'Italia: “Si può sperare che da questa moratoria venga anche uno stimolo per l'Italia, quantomeno per applicare integralmente la legge sull'aborto”.
    Cincin e buon anno, quello che inizia è il quarantesimo dell'enciclica scandalosa di Paolo VI sull'“Humanae vitae”. Aderisce Roger Scruton: “L'aborto è una disputa tra coloro che credono che dobbiamo sacrificare noi stessi per le future generazioni e coloro che invece pensano che le future generazioni possono essere sacrificate alla nostra utilità”.
    Capodanno silenzioso per la politica; non si riesce a stanare un cattolico della Margherita che si prenda il rischio di rispondere. Il 3 gennaio si scrive direttamente al segretario del costituendo Partito democratico: “Caro Veltroni, ti chiedo, se la cosa vi interessi, di consentirmi di esporre le mie ragioni in favore della moratoria sull'aborto”. Nelle retrovie dell'ideologia qualche deputata retrograda del Prc inizia a caricare il fucile dell'odio. Per Emma Bonino, Ferrara è un “teocretino” e il suo un “trappolone”.
    Pazienza, il gran giorno è il 6 gennaio, quando Papa Benedetto riceve il corpo diplomatico: “Mi rallegro che lo scorso 18 dicembre l'Assemblea generale delle Nazioni Unite abbia adottato una risoluzione chiamando gli stati ad istituire una moratoria sull'applicazione della pena di morte ed io faccio voti che tale iniziativa stimoli il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana”.
    Veltroni risponde: si può fare. E un piovigginoso sabato di gennaio, a Sant'Andrea delle Fratte, le “anime del Pd” scoprono che sarà dura, oggi e in futuro, parlare di etica e di valori, tenere insieme una visione ispirata al cristianesimo della vita e le pulsioni radical-faustiane, nascondendosi dietro allo slogan corto e miope che “la legge 194 non si tocca”. La laicità è solo una chimera, se rifiuta di prendere atto che il diritto della donna di scegliere l'interruzione di una gravidanza a tutela della propria salute si è trasformato nell'arbitrio di negare la vita punto e basta.

    ***

    Il 14 gennaio la moratoria sbarca in Lombardia per il lancio ufficiale al Teatro dal Verme di Milano. Intanto va messa a punto la lettera da inviare al segretario dell'Onu, Ban Ki-Moon. Pochi concetti chiari: “Chiediamo ai rappresentanti dei governi nazionali che si esprimano a favore di un emendamento significativo al testo della Dichiarazione: dopo la prima virgola, inserire ‘dal concepimento fino alla morte naturale'”. Cosa c'è di difficile? Basta un'ora alla Trattoria Santa Marta di Milano, davanti a risotto e nervetti, per farsi dare una mano da don Roberto Colombo, scienziato bioetico dell'Università Cattolica, per limare i concetti. C'è il tempo per andare a conoscere Paola Bonzi, nella sua casa distante dal centro. E sentire condensato nel suo entusiasmo, nel suo affetto per le donne, per tutti i novemila bambini che ha aiutato a nascere la forza piena di ragioni che ha permesso di tenere duro a migliaia e migliaia di operatori dei consultori, di volontari del Movimento per la vita. Uomini e donne che nel silenzio, nella derisione, spesso subendo violenza da trent'anni resistono all'aborto e alla sua indifferenza sociale. La storia della moratoria e della Lista Pazza è anche, se non soprattutto, l'incontro con persone così.
    Fatti e parole accadono a raffica. Come se fosse bastato evocare il nome, aborto, e formulare l'idea, la moratoria, per liberare ciò che da trent'anni era occultato. La Lombardia e i suoi medici fissano un protocollo che accorcia il termine delle settimane entro cui è consentito abortire. L'India vara i primi provvedimenti per incentivare le famiglie a far nascere le bambine, i milioni di bambine che mancano all'appello demografico, come ha denunciato Amartya Sen. Il segretario dell'Onu prende la parola per condannare le pratiche di aborto selettivo e sessista in Asia. In Gran Bretagna un manipolo di parlamentari rifiuta a Gordon Brown di votare secondo disciplina di partito, e non secondo coscienza, sulle leggi faustiane in discussione ai Comuni. In Italia il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, mette la difesa della vita maltrattata al centro del suo discorso ai vescovi. A un discorso che guarda lontano, risponde solo la miopia di chi ci vede la longa manus “dei teocon”. E' l'Italia di quella “minoranza laicista e ignorante, intollerante, violenta” che di lì a poco toglierà al Papa il diritto di parola all'Università La Sapienza di Roma. Un brutto film di intolleranza che anche la Lista Pazza dovrà presto vedere, anche se nella versione sgangherata di super8 amatoriale.
    E' passato un mese soltanto, “ma la pausa merenda invocata da Andrea Marcenaro è rinviata di anni”. L'inizio è stato un'altalena di silenzio imbarazzato e di fracasso per coprire le buone ragioni. Ma ora se ne parla, si sveglia anche la politica. Una mozione all'Onu firmata da sessantasette deputati e venti senatori del centrodestra, Roberto Formigoni è uno dei primi a fare il suo endorsement. Ma ci sono anche storici esponenti della cultura radicale, come Angiolo Bandinelli e Lorenzo Strik Lievers, pronti a dire la loro, e a riconoscere il diritto a discutere. E il dibattito si infiamma, tra le ragioni profonde della storica Emma Fattorini, e il pensiero assassino di Umberto Veronesi. Repubblica ospita una sua lettera sul diritto del medico e dei genitori di scegliere il figlio perfetto, il bambino sano. Ma il 28 gennaio, è la première fois del cardinal Ruini a Otto e Mezzo. A ragionare di moratoria, mentre piovono dal mondo adesioni su adesioni.
    Finisce qui, se si volesse tirare una linea sul calendario, la prima parte della storia della Grande Moratoria contro l'aborto. Il 24 gennaio infatti Clemente Mastella se ne va, e con lui l'illusione che esista un governo.

    ***

    Sabato 28 gennaio a Monza è una mattina uggiosa. Giuliano Ferrara è atteso per l'ennesimo incontro in giro per l'Italia. Prima c'è tempo per fare colazione ai tavolini stretti del Gran Prix, davanti al Teatro Manzoni. Si bevono caffè e si sgranocchiano biscotti con il direttore del Cittadino Luigi Losa, che ha fatto l'invito, il direttore di Tempi Gigi Amicone e qualche altro amico. Si aspetta Giancarlo Cesana, leader di Cl. Ferrara fa il resoconto dei pensieri della notte, tazze e pasticcini restano a mezz'aria: “Perché non lanciare una lista ‘single iussue' per sostenere la moratoria?”. Poi fuori, sul marciapiede sotto la pioggia, tra fumo di toscani e sigarette, è tutto un confabulare fitto: sì, no, vediamo. Precauzione, battute su chi potrebbe prendersi l'onere e l'onore, ragionamenti sulla sensatezza di una politica “single iussue” in un paese che detesta gli aut-aut. E sulla chiesa cattolica che è tutto il contrario di un'organizzazione “single iussue”. Eppure, perché no? Il giorno dopo, saltando i dubbi, il Foglio ha un articolo in prima pagina siglato dall'elefantino: “Una lista per la moratoria”. Centralino e cellulari dei redattori che impazziscono, flusso di sms che sembra l'Autosole a ferragosto. Tutte le varianti eufoniche ed eufemistiche della frase “ma no, è solo un'ipotesi” vengono date in pasto ad amici, nemici e conoscenti. Ma non ci crede nessuno, sappiamo tutti che il dado è tratto. La campagna elettorale della Lista Pazza è incominciata.
    Giorni frenetici di consultazioni telefoniche. Ipotesi. E una ridda di articoli-ballon d'essai: se si facesse, e come la si farebbe. Sono più i “non so” che i “sì” convinti, piovono i primi no, cominciano a pesare le logiche elettorali. E poi serve un nome. Pezzotta? Sta pensando ad altro. Carlo Casini? E' europarlamentare. Così tra un caffè da Friends, il bar tabacchi di piazza Trilussa, e due chiacchiere in redazione, spunta il nome: certo, se lo facesse Formigoni… Tempi di reazione da centometristi, Ferrara è al cellulare. Sarebbe l'idea giusta, Formigoni ha appena aderito alla moratoria, l'entusiasmo non manca. Ma bisogna valutare, non è che si possa tirare in mezzo Cl, e poi bisogna sentire lui: nel senso di Berlusconi. Ma intanto si discute del nuovo totem di queste elezioni anticipate: l'apparentamento.
    Questa è la storia così come è cominciata. Un'altra volta senza calcolo preventivo e con una dose di improvvisata allegria. Da questo punto di vista, la storia della lista “Aborto? No, grazie. Per la moratoria” è forse ancora più trasparente delle sue stesse motivazioni culturali e politiche. Del resto è andata quasi in diretta su tutti i giornali, senza finzioni. La scommessa che una piccola lista, naturalmente collocata nel centrodestra, nell'universo valoriale del Partito popolare europeo, si potrebbe fare. Non ruberebbe voti, sarebbe anzi un tassello aggiunto al disegno un po' asfittico, un po' senz'anima del nuovo partito unico. Ma è sintomatica la fatica che s'è fatta per far accettare, nel paese dei retropensieri e dei secondi fini, che sia andata così. Che sia possibile decidere di mettere su una lista per il solo fatto di avere qualcosa di importante da dire e da fare.
    Si raccolgono le firme, l'ipotesi è il Senato. Si fa anche un sondaggio, l'unico: “Alle prossime elezioni voterebbe per una lista che proponga unicamente la difesa della vita dal suo concepimento?”. “Certamente sì: 3,5 per cento. Probabilmente sì: 6,1 per cento”. Si può fare, ma Berlusconi non si farà convincere. Sull'altro piatto di bilancia c'è un voto utile, il timore di perdere consensi. Ma forse anche un'intima convinzione: “Su queste materie la regola del nostro schieramento politico è la libertà di coscienza”, dice. Poi la sua diventerà semplicemente “anarchia etica”.
    A guardar bene, a non farsi prendere dalla cronaca, lo spartiacque vero della storia coincide forse con un altro titolo rosso del Foglio, a tutta pagina, il 5 febbraio: “No al panico e alla cultura della morte”. Di che si tratta? Di una presa d'atto: “Facciamo un appello contro il panico. Contro la violenza culturale. Contro la disumanizzazione della discussione civile e politica. Contro l'impersonale ideologia di morte che ha conquistato un posto funesto e ingombrante nella mentalità corrente di tanti uomini, di tante donne, di tanti tecnoscienziati che predicano l'assurdo: considerare violento e barbarico l'amore, trasformare la cura del vivente in selezione volontaria. Contro quella particolare frustrazione che sta imbarbarendo il confronto e lo scontro di idee, portandolo sul terreno così italiano della guerra alle persone, della riduzione di chi dissente a simbolo del male”. Forse è anche la presa di coscienza di ciò che è iniziato e del suo valore in qualche modo esemplare per un dibattito civile e culturale, giocoforza politico, di cui c'è bisogno sul valore della vita: “Non torniamo indietro. Non lo potremmo neanche se lo volessimo. La moratoria sull'aborto è nata come il grido isolato di un gruppo intellettuale ispirato dal disgusto per l'ipocrisia del falso umanitarismo vista all'opera in occasione della moratoria sulla pena di morte legale. Ma quel grido era nulla, era un'opinione. Sono seguiti fatti che contano e che spiegano il panico di oggi, la follia di oggi, la sensazione diffusa nella cultura laicista e femminista”. Manca invece lo scontro pulito delle idee: “Nessuno contesta, nessuno, l'acquisizione di base che portò in tutto il mondo alle sentenze o alle legislazioni di contrasto all'aborto clandestino: non si può imporre un parto, non si può perseguire penalmente una donna in gravidanza, nessuno chiede che venga ripristinato l'aborto clandestino. Ma tutto il resto è lecito, moralmente e civilmente legittimo, politicamente saggio ridiscuterlo. E' lecito assalire la deriva eugenetica dei tempi moderni. Nella libertà di scelta, la scelta deve poter essere per la vita, contro la cultura della morte in pancia o in vitro”.
    Giunta a metà della sua avventura, la moratoria ha raggiunto il cuore della questione. L'ha toccato quasi con spavento, perché è il cuore della civiltà contemporanea e dalla coscienza che ha (o non ha) di se stessa. Il silenzio, l'imbarazzo, e poi l'astio e la violenza nascono dal rifiuto di prendere atto che le cose stanno così.
    Per fortuna c'è la realtà dei fatti che si incarica di rompere il guscio. Ai primi di febbraio sono i neonatologi romani a produrre un documento in cui si parla di rianimazione del feto, seguito dalla folle dichiarazione del ministro della Salute Livia Turco: “E' disumano rianimare i feti senza l'autorizzazione dei genitori”. E poi soprattutto c'è Napoli. Napoli non dei rifiuti, quelli di cui è bello e facile, riempire i giornali. Ma Napoli del rifiuto della verità su un bimbo malato. “Napoli, ucciso bimbo perché malato” dice il Foglio il 15 febbraio. E' la buona cronaca a fare giustizia di una menzognera costruzione mediatica e a svelare la realtà: da una parte c'è la banalità eugenetica dell'aborto comminato per una malattia curabile, la sindrome di Klinefelter. Dall'altra si evoca un'inesistente “caccia alle streghe”, mettendola sul conto della moratoria. Poi è la volta di Genova e di un bambino abortito illegalmente per un reality show, infrazione sanabile con multa di euro 51. Ma “la 194 non si tocca”, è l'unico refrain ufficialmente ammesso. Ma c'è anche John McCain che dice “che il diritto alla vita è autoevidente”, di contro al suo sfidante Obama, quello preoccupato che sua figlia “non sia punita da una gravidanza”. E poi c'è la splendida Pasqua di Pordenone, una teeneger che sfida il pozzo nero del luogo comune dell'aborto e decide di tenersi suo figlio. Anche se è giovane e i genitori non vogliono, anticipazione in cronaca della commedia strepitosa di “Juno”, che arriverà ad aprile a svelare i pensieri segreti di molti cuori.
    I fatti continuano a fioccare sull'indifferenza, ma l'indifferenza tiene duro. Salvatore Crisafulli è un malato come Welby ma, a differenza di lui, non vuole morire: “Io non sono un carciofo”. Non l'ha ascoltato nessuno.
    Il 21 febbraio si cambia obiettivo: niente Senato, per non disturbare, si va tutti alla Camera. Si spera ancora in un centrodestra “non micragnoso”, ma è chiaro che non se ne farà niente. Nel passaggio tra il Senato e la Camera si perde per strada Gigi Amicone. E' un piccolo caso di scuola. Convinto dalla logica del voto utile cui aderisce il movimento di cui è autorevole esponente, decide di desistere. Ma Luigino è generoso, darà una mano a presentare la lista a Milano, in Piazza Farnese sarà in prima fila con il figlio piccolo in spalla. Poi una girandola di lettere, controlettere e precisazioni per dire insomma che alla fine il suo voto per la Lista Pazza ci sarà.
    Cose che capitano ai vivi. Ma la verità è più ampia e articolata. Ed è che la Lista Pazza ha posto qualche problema – e non poi così piccolo – al rapporto della chiesa italiana con la politica, e più in generale a tutta la cultura politica dei cattolici. Eugenio Scalfari, alla discesa in campo di Ferrara, ha gridato all'assalto della Cei contro lo stato laico. Una Porta Pia al contrario, ha detto. Previsione comica, tanto si è rivelata sbagliata. E' invece sotto gli occhi di tutti che alla lista pro moratoria non è venuto alcun appoggio esplicito delle gerarchie – che naturalmente e correttamente non fanno politica – che secondo l'aureo teorema di Ruini guardano con rispetto e interesse alla presenza di cattolici in ogni partito. La lista di ispirazione laica promossa da Giuliano Ferrara non ha ricevuto endorsement espliciti né impliciti neanche da altri movimenti o associazioni ecclesiali: era logico che fosse così. Ma allo stesso tempo, l'esperienza di una lista pro life laica ha posto con una certa evidenza la domanda su come organizzare, in futuro, un'azione politica di qualche prospettiva dei cattolici sui temi bioetici. Qualcuno dovrà pensarci, e magari raccogliere il sasso nello stagno della politica cattolica lanciato dal professor Adriano Pessina, capo del dipartimento di Bioetica della Cattolica: “Personalmente penso che sia proprio l'iniziativa politica di Ferrara a essere assolutamente indispensabile e corretta, molto meno provinciale ed ambigua di quelle proposte che, in nome della libertà di coscienza, vorrebbero ottenere dai cittadini una delega in bianco su temi che riguardano il presente e il futuro del paese… Questa è l'unica vera novità nel panorama della politica italiana”.
    L'8 marzo è il giorno della festa per il lancio della lista a Piazza Farnese: “Prima le donne e i bambini”. C'è lo splendido comizio-canzone di Ferretti Lindo Giovanni, che spiega meglio di tutto il resto le ragioni della lista e della campagna. E' anche il giorno in cui Napolitano si dimentica di invitare al Quirinale Paola Bonzi e le altre donne che aiutano le donne, e rende omaggio all'ipocrisia anziché alla virtù.
    Ci sono finalmente i candidati. La storia della Lista Pazza è in fondo anche la storia di persone che si sono cercate e trovate, con generosità, venendo dai mondi più diversi. Dal volontariato nei consultori e dal Movimento per la vita, dal giornalismo e dalla professione medica. Senza conoscersi prima, senza conti a tavolino, scommettendo sull'idea. E una buona idea genera sempre simpatia umana, e la simpatia impegno generoso. Che supplisce alla mancanza di mezzi: due telefoni e due portatili nello stanzino accanto al direttore, col “manuale di come si fa a partecipare alle elezioni” sul tavolo, mescolando la frenesia di chi fa un giornale e quella di chi cerca un candidato, fissa appuntamenti, riceve e smista offerte di disponibilità a dare una mano. Insomma, la lista è anche la storia non proprio frequente per l'Italia di umanità diverse e tutte molto buone, non prestate alla politica ma che alla politica credono. Nomi scelti “per aprire una strada e tenere viva una cosa morta da trent'anni: la strana idea, e molto sexy, che le cose tristi si combattono e quelle allegre si preparano, anche con la grintaccia della battaglia politica ed elettorale. Perché no?”.

    ***

    Il resto è storia. Storia di una lista che cerca di bucare la cappa del silenzio, e il nulla di una campagna elettorale banale fino al grottesco. Di pazzi tour di incontri nei weekend. Entusiasmanti o flop, pieni di gente e di storie sconosciute. In Veneto e in Liguria, nelle Marche e in Lombardia. E poi è la storia di Bologna, di uova e pomodori presi (ma non solo, chiedere alla costola di Matilde Leopardi), anche di lancio di sedie e bottiglie di vetro piene. Di un isolamento politico e mediatico che chiama i lupi, di una violenza verbale e ideologica crescente, fino a farsi fisica, contro la possibilità stessa di parlare. Storia di forze dell'ordine che collaborano a difendere la democrazia e la libertà di parola, ma anche di qualche solidarietà postuma e pelosa. Dimostrazione di una chiusura culturale e mentale, che non ha tolto a nessuno di noi certezza né buonumore.
    Perché tanto c'è Benedetto XVI, sabato 6 aprile nella Sala Clementina, a ripetere un'altra volta, e meglio di quanto possa fare una Lista Pazza, le ragioni dell'amore e della difesa a oltranza della vita, contro la “congiura del silenzio”. Senza tentennamenti ma anche senza opportunismi guardinghi. Chiede “attenzione al dramma dell'aborto procurato, che lascia segni profondi, talvolta indelebili nella donna che lo compie e nelle persone che la circondano, e che produce conseguenze devastanti sulla famiglia e sulla società, anche per la mentalità materialistica di disprezzo della vita, che favorisce”. Ma offre anche speranza a tutte le donne: “Benché quanto compiuto rimanga una grave ingiustizia e non sia in sé rimediabile, faccio mia l'esortazione rivolta, nell'enciclica ‘Evangelium vitae', alle donne che hanno fatto ricorso all'aborto: ‘Non lasciatevi prendere dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità'”. E tanto basta. E tanto speriamo che basterà.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"