una fogliata di libri
Halakhah e Aggadah. Sulla Legge ebraica
La recensione del libro di Chaim Nachman Bialik edito da Quodlibet, 72 pp., 12 euro
Torna in libreria un libro importante, Halakhah e Aggadah. Sulla legge ebraica. Chaim Nachman Bialik lo pubblicò nel 1917 a Odessa, in ebraico, sulle pagine della rivista Knesset. Due anni dopo, usci sulle pagine di Der Jude una versione tedesca tradotta da Gershom Scholem. E’ questa l’edizione che finisce tra le mani di Walter Benjamin. Testo cruciale e innesco di una lunga discussione (interminabile sarebbe meglio dire) tra lui e Scholem a proposito di Franz Kafka. Halakhah (Norma), Aggadah (leggenda) sono due poli separarti, due categorie separate del Talmud? Due binari destinati a non incontrarsi mai? Da una parte la dimensione giuridica e autoritaria e dall’altra quella epica, aperta al sogno? Legge e creazione. Solidità e attività pulviscolare, spirituale. Cervello e cuore. Deduzione e induzione. Sono caratteri spirituali ebraici che sembrano convivere negli individui, ma separarti in casa. Il saggio di Bialik smentisce questa posizione. Anzi, invita a considerare le due categorie come porose, capaci di fondersi, attivando incroci assai produttivi. Vorremmo dire vitali. E’ grazie al loro incontro che vita e scrittura ebraiche trovano capacità di azione e brillantezza interpretativa. Come due elementi chimici imprescindibili, da cui si ricava una preziosa formula. Bialik si schernisce davanti a una lettura separativa dei due termini. Come se ci fosse ancora bisogno di sottolinearne ciò che li rende indispensabili l’un l’altro. “Non si è detto già abbastanza sulla vera essenza della Halakhah e della Aggadah come particolari forme o stili di vita? Poiché cos’è la letteratura, se non ‘vita scritta’”? Eppure, la disputa sui due termini è annosa. Nelle loro storie, i maestri del Talmud hanno spesso contribuito a separare Halakhah e Aggadah. Oro massiccio contro moneta spicciola. E viceversa. Gli aggadisti hanno spesso negato agli alakhhisti lo spazio letterario. Tanto la prima è delimitata precisamente, tanto l’altra fluttua, vaga inarrestabile nella fantasticheria. Eppure, è il loro bilanciamento reciproco, il loro equilibrio a risultare cruciale: l’autorità frena il sentimentalismo. “Un ebraismo tutto di Aggadah è come un metallo incandescente che non viene raffreddato”. Per questo è necessario che i poli siano connessi, come vasi comunicanti. “Questa è la testimonianza e la prova di salute e della maturità del popolo”.
Nella postfazione, curata da Andrea Cavalletti, viene ricostruita la storia del testo e delle due correnti. Da George Eliot e il suo Daniel Deronda, passando per gli studi di Emanuel Deutsch, del filosofo Arsène Darmesteter, fino a Gerschom Scholem e Walter Benjamin.
Chaim Nachman Bialik
Halakhah e Aggadah. Sulla Legge ebraica
Quodlibet, 72 pp., 12 euro
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