una fogliata di libri
La ballata dell'ultimo ospite
La recensione del libro di Peter Handke, Guanda, 208 pp., 19 euro
In un passo dei suoi famosissimi Passages, Walter Benjamin scrive che il nostro rapporto con i luoghi non può che essere necessariamente mediato dal ricordo e dalla memoria. Camminare, attraversare e ritornare nei posti non fa che suscitare un’evocazione fantasmatica degli eventi e delle persone che insieme a noi sono state in un determinato spazio. Ma se al nostro ritorno non ci fosse più nessuno a riconoscerci? Se fossimo lasciati completamente soli in questo mondo di fantasmi, cosa succederebbe? Quanto sarebbe più amaro questo ritorno?
La ballata dell’ultimo ospite di Peter Handke è un romanzo che racconta il ritorno solitario del protagonista Gregor al suo paese natio, dopo un lungo viaggio da un altro continente. Il libro si sviluppa attorno al silenzio e alla solitudine di questo rientro, in un luogo profondamente mutato e consumato dal tempo, dove l’accoglienza sembra mancare. Gregor cerca di ritrovare affetti familiari come le partite a carte con il padre, lo sguardo muto della madre e le confidenze della sorella, ma ciò che emerge è un senso di spaesamento e di smarrimento, una realtà che sembra disgiunta dal passato che conosceva. A pesare ancor di più la ferita silente di un segreto – la subitanea morte del fratello –, peso che in un simile contesto diventa sempre più difficile da condividere.
In questo quadro, il romanzo dell’autore premio Nobel si permette perciò di costituirsi come oggetto letterario lontano dalla trama, ma edificato attorno alla meditazione e al pensiero, all’emozione e alla parola. Un romanzo che sembra rallentare di passo in passo per permettere ciò che la letteratura di consumo tende a dimenticare, la disamina cesellata, cioè, delle emozioni umane e la complessità del sentimento. Cosa significa sentirsi abbandonati dal proprio paese o estranei nella propria famiglia?
Il romanzo si colloca nella tradizione di Handke come poeta in un mondo disertato dalla poesia, che rifugge dalla narrazione convenzionale per privilegiare uno sguardo lento e attento sul reale. Le immagini di smarrimento costruiscono una solitudine tutta moderna a sua volta metafora di uno stato esistenziale dell’uomo nel presente, segnato dalla sparizione della lingua e dalla frammentazione della comunicazione. Così il testo si distingue per la sua capacità di trasmettere la condizione liminale dello spaesamento che riflette il rapporto delicato e complesso tra tempo, identità e appartenenza. Non tanto un ritorno fisico, insomma, ma un viaggio nella propria precarietà.
La ballata dell’ultimo ospite
Peter Handke
Guanda, 208 pp., 19 euro
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