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una fogliata di libri

Che nostalgia per quel tempo di tregua. Lettera da un sonno perduto

Marina Corradi

Molti mammiferi durante l'inverno vanno in letargo, noi no. Eppure abbandonarsi a un sonno egoistico e irresponsabile, risvegliandosi a marzo, sarebbe un modo per concedersi una tregua

Una cosa che trovo, pur con tutto il rispetto, ingiusta nell’ordine della natura è che molti mammiferi d’inverno vadano in letargo – e noi no. Il cielo sopra Milano oggi è color fango, e umido: si insinua viscido nei colletti dei cappotti. Alle quattro, già quasi buio. Penso alle marmotte sotto alla prima neve in montagna, nella tana preparata per tempo, colma di scorte. La cucciolata che dorme, il buio. Anche io, voglio andare in letargo. Sono pur sempre un mammifero. Sapiens, già – non poi tanto – e quindi capace procurarmi cibo anche d’inverno. Tanto è bastato, per escluderci da quel sonno primordiale. Ho letto però che vicino a Burgos, in Spagna, anni fa in una fossa comune sono stati trovati i resti dei primi Neanderthal, roba di quattrocentomila anni fa. E le ossa mostravano un accrescimento irregolare, come paralizzato in alcuni mesi, senza frutta e vitamine. Quasi che i primi neanderthaliani si ibernassero in profonde caverne, per sopravvivere al gelo. Alcuni antropologi ipotizzano dunque che la struttura cerebrale del letargo esista ancora nell’uomo. Vorrei testimoniare: in me esiste. Sono di certo una pre-neanderthaliana. In estate mi sveglio col sorgere del sole, in dicembre alle otto me ne resto tramortita, un Lazzaro renitente sotto al cielo sporco di Milano.

 


Che sonno. Come tutto è faticoso e lento. Dormire, dormire: come i miei gatti, quei cialtroni, spalmati sui divani per venti ore al giorno. Potere avvolgersi in una coperta, zittire la razionalità cartesiana in cui ci hanno disgraziatamente formati, e abbandonarsi come bambini al sonno. Egoistico, irresponsabile, antisociale: ebbene sì. Ma che nostalgia ho di un tempo, in cui a noi uomini era concessa una tregua, tra inverno e primavera. Quando, al primo sole di marzo, nel manto intonso di neve compaiono piccole linee di impronte. E squittii, come di chi richiami i vicini. Sono le marmotte: l’inverno ha perduto di nuovo la sua guerra. Quanto vorrei, in una simile alba, affacciarmi al sole e risvegliarmi così anche io – come daccapo.

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