una fogliata di libri

Predatori

Andrea Frateff-Gianni

La recensione del libro di Stefano Nazzi edito da Mondadori, 252 pp., 19 euro

L’Fbi l’aveva definita la “golden age” dei serial killer, quella sorta di “epidemia” del male che aveva travolto gli Stati Uniti tra gli anni Sessanta e Novanta, in cui gli assassini seriali furono stimati in oltre duemila. Stefano Nazzi la racconta in "Predatori", un viaggio nell’America che aveva perso la propria innocenza e che venne improvvisamente colpita da una sorta di attacco congiunto, combinato, “come se un comando, una scossa, avesse messo in azione tante menti distorte” tutte assieme. Quando chiesero a Theodore Robert Cowell, meglio noto come Ted Bundy, la vera star della categoria, “chi siete voi serial killer?”, lui rispose, sorridendo: “Noi siamo i vostri figli, siamo i vostri mariti”. E poi aveva aggiunto, beffardo: “Siamo dappertutto”. Ted Bundy era bello, vestito bene, rassicurante, intelligente. All’apparenza una persona totalmente normale: “E’ forse il serial killer più famoso nella storia americana”, spiega Nazzi, “proprio perché ruppe lo stereotipo: l’immagine del serial killer isolato, che vive nell’oscurità, lo sguardo folle. Non è stato quello che negli Stati Uniti ha ucciso di più, ma il suo nome lo ricordano tutti”. Insieme a quelli di Jeffrey Dahmer, soprannominato il “Cannibale di Milwaukee”, a David Richard Berkowitz, detto il “Figlio di Sam” o John Wayne Gacy, passato alla storia come il “Killer clown”. Nazzi non si limita a raccontare i delitti ma interroga il contesto che li ha generati: la disgregazione familiare, la solitudine metropolitana, la spettacolarizzazione violenta dei media. Con il piglio del cronista e il passo del narratore ricostruisce, attraverso le loro storie, il paesaggio psicologico e sociale di un paese che si scopre vulnerabile e disorientato. “Accanto alla storia dei serial killer, c’è quella delle donne e degli uomini che li hanno inseguiti,  studiati, catalogati”, i cosiddetti “mindhunter”, i primi profiler. Fu Robert Ressler, agente speciale dell’Fbi, a parlare nel 1974 per la prima volta di serial killer; la prima definizione stilata a Quantico fu questa: “Un soggetto che tre o più persone, in tempi e luoghi diversi, senza che sia immediatamente chiaro il perché, anche se lo sfondo sessuale del delitto è quasi sempre riconoscibile. Può colpire una vittima scelta casualmente, o selezionata con attenzione. Spesso sfida gli investigatori a individuarlo, convinto di non poter essere mai catturato”. Il resto è storia, cinema, letteratura: l’eco di un’America che ha trasformato i propri incubi in mito e i suoi assassini in icone del male.

    

Stefano Nazzi
Predatori
Mondadori, 252 pp., 19 euro

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