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una fogliata di libri 

Pasolini fra solitudine e autonomia

Matteo Marchesini

Dal suo “bisogno di ricchezza” alle grandi capacità di autorecensore e ritrattista. Due libri intelligenti riflettono sulla figura dello scrittore a cinquant'anni dalla morte

Chiudo qui le mie celebrazioni dei cinquant’anni dalla morte di Pasolini segnalando due libri intelligenti: merce rara, là dove prevalgono mitizzazioni in positivo e in negativo. Il primo s’intitola “Pasolini addio. Indagine su un mito”, e lo firma Alfio Squillaci per l’editore Gog. Squillaci è nato nel 1955. E’ quindi uno dei “figli” contro cui scriveva l’ultimo PPP. Ma un figlio cresciuto in una borgata di Catania, venuto al nord grazie alle sue capacità e a un po’ di meritocrazia del Pci; un figlio che dunque, come dice, voleva omologarsi eccome, per sfuggire a una miseria descritta con efficacissima vivacità. Squillaci ricorda che il poeta stesso aveva avuto il suo “bisogno di ricchezza”, che senza il boom economico non sarebbe divenuto una star, e che nella sua opera il tema del consumismo si afferma tardi, quando il mondo non gli piace più perché la nuova egemonia della coppietta eterosessuale gli sta strappando gli adolescenti maschi.

Al pathos elegiaco di Pasolini, Squillaci oppone l’ironia di Alberto Arbasino. Ma vorrei fargli notare che a fine anni Settanta lo scanzonato Arbasino si è trovato a fare dei giovani un ritratto molto simile a quello dell’amico avverso: li descriveva come laidi topi con i baffi, rozzi e gergali. Il punto, però, è che se ricondotto a un astratto antimodernismo, Pasolini sparisce nella sua concretezza - come Montaigne sparirebbe se ridotto ai luoghi comuni delle filosofie ellenistiche. E poi, PPP non vuole tornare ai bei tempi andati: semplicemente, a un’opinione pubblica non più abituata a prendere atto delle conseguenze delle trasformazioni, ne indica i prezzi; compresi quelli che lo riguardano. Tutto ciò, si sa, è stato detto dallo scrittore corsaro e luterano, che si è espresso soprattutto sulla prima pagina del Corriere della Sera di Piero Ottone.

E qui vengo al secondo libro. La Fondazione del Corriere ha infatti pubblicato tutti i pezzi di Pasolini per il quotidiano (nella versione di stampa, e in ordine cronologico) più alcune interviste, dichiarazioni e inediti. Il volume, “Pasolini e il Corriere della Sera 1960-1975”, è ottimamente introdotto da Gianluigi Simonetti, che offre un inquadramento politico e letterario oggi indispensabile. Simonetti sottolinea il “minimo comune denominatore di sperimentalismo, intelligenza e arbitrarietà” dell’autore, che fa del giornale una sorta di tribuna sadomaso, e analizza la strutturazione stilistica degli articoli-poemetti, caratterizzati da ossimori, paradossi, anafore, iperboli.

Aggiungerei che questo libro conferma le grandi doti di PPP come autorecensore. E come ritrattista. Il pezzo forte degli inediti si intitola “Quiz”. Pasolini vi invita il lettore a indovinare il nome di un personaggio di cui offre i lineamenti: un pedante dall’aggressività repressa, un goliardico di “gorgheggiante teppismo” che appare terrorizzato e terroristico davanti ogni rischio di ridicolo, che si finge anticonformista ma reagisce al vero anticonformismo con lo scherno dell’erudito filisteo. Sembra proprio Giorgio Manganelli, con cui il poeta aveva polemizzato sull’aborto. Proponendo la sua opera, Pasolini vuole sempre dare la suggestione di un sistema nel quale tutto si tiene, e ogni punto debole è giustificato da qualcos’altro. E’ un ricatto fastidioso, ma un po’ più accettabile là dove l’allusione a ciò che sta oltre la pagina è già prevista nel genere, come appunto in questo saggismo “in situazione”. Un saggismo che ha la provvisorietà dell’abbozzo non finito, il vero genere pasoliniano. Pasolini si è conquistato prima un potere, quindi un’autonomia dal Potere, e ne ha fatto qualcosa d’imprevisto: in pubblico, senza più illusioni e falsi scopi, è rimasto solo. E la solitudine, ce lo ricorda ancora, è l’altra faccia dell’autonomia.