Albert Bartholomé, The Artist's Wife (Périe, 1849–1887) - Wikimedia Commons
una fogliata di libri
La chiacchiera ha purtroppo trionfato
La qualità di un libro non dipende dai primati che rendono soddisfatti autori ed editori. Nella realtà, ha scritto Natalia Ginzburg, "esistono soltanto i libri belli e i libri brutti, che durano e che muoiono, che torniamo a leggere e a rileggere dopo anni e anni e che non rileggeremo mai"
È una pratica vecchia come il mondo fra intellettuali, artisti, letterati. Se vuoi ferire un “nemico”, la strategia più efficace è ignorarlo. E con i potenti mezzi social di oggi la pratica può diventare capillare. Non si tratta solo di non inserirlo nelle varie strategie di quello che, piaccia o no la parola, si è imposto come amichettismo, ma di praticare il ricorso uguale e contrario di un vero e proprio nemichettismo. Il che significa escludere l’avversario dai propri giri di potere ed evitare accuratamente di nominarlo nelle occasioni pubbliche. Soprattutto non schiacciare nemmeno per sbaglio l’icona segui e tantomeno mettere un like nelle sue pagine. Perché – questa è la regola tacita – si segue unicamente chi fa parte del proprio giro. L’arte come fosse politica, insomma. Ma se la definizione amichettismo e inevitabilmente il nemichettismo hanno conio recente, lo spostamento d’interesse dalla qualità del proprio fare ai risultati va retrodatato al passaggio fra i due ultimi secoli, periodo in cui si spegneva un’élite artistico letteraria cui l’amicizia non faceva velo.
Capitava ancora alla fine del Novecento che amici notoriamente tali esprimessero aspri disaccordi pubblicamente con una severità che oggi mai verrebbe perdonata. Perché fra i tanti cambiamenti dei tempi ce n’è soprattutto uno che ha lasciato una dolorosa ferita: il rispetto disinteressato per l’oggetto artistico. Un esempio? Un articolo scritto da Natalia Ginzburg sulla Stampa del 12 febbraio 1989 in cui se la prendeva con l’amatissima Rosetta Loy, da lei scoperta fra l’altro, perché aveva osato dividere gli scrittori in serie A, B, C sostenendo di essere riuscita a passare in serie A soltanto con “Le strade di polvere” visto che finalmente aveva avuto successo.
“Perché usare questo linguaggio sinistro da gara sportiva?”, si chiede Ginzburg. “Non credo sia bene ingabbiare gli scrittori in queste lugubri categorie”. Il discorso si allarga quindi all’editoria che sempre più insegue vagheggiati bestseller trascurando libri e autori interessanti, ma destinati a un pubblico numericamente esiguo. “Gli editori non stampano un libro che pure forse gli piace per paura di un insuccesso”, prosegue l’articolo. “Gli scrittori nello scrivere si chiedono dubbiosi e sgomenti quali siano i mezzi idonei per avere soldi, fama, premi e articoli sui giornali; la gente non compra un libro che magari la incuriosisce perché non se ne dice nulla sulle pagine dei giornali, o perché non c’è nelle liste dei libri più venduti”.
L’importanza di un libro, sostiene Natalia, non ha nulla a che fare con certi primati che, certo, rendono soddisfatti autori ed editori, ma questi sono fatti loro, non della letteratura. “Nella realtà esistono soltanto i libri belli e i libri brutti, i libri che durano e i libri che muoiono, i libri che torniamo a leggere e a rileggere dopo anni e anni e i libri che non rileggeremo mai. Tutto il resto sono chiacchiere”. Ma oggi, fra amichettismo e nemichettismo la chiacchiera purtroppo ha trionfato.