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Un mondo intorno alla vecchia Centrale di Milano. Lettera da una città scomparsa
Una stazione demolita nel 1931 fa spazio a palazzi di dieci piani dedicati ai benestanti. Le città cambiano inesorabilmente e gli uomini, se fanno in tempo a invecchiare, se ne sentono traditi
L’altra mattina, passando da Porta Nuova District a Milano, sfiorando sotto la pioggia i grattacieli di cristallo ho registrato il mio consueto incupimento. Quella laggiù in fondo, chiara, era la mia casa, da bambina. Mia madre aveva trasformato un balcone in una giungla, e in estate il sole tramontava rosso fuoco, davanti a noi. Di fronte, sulle ex Varesine, c’era un lunapark, triste come tutti i lunapark. Però quando tornava dai suoi viaggi di giornalista mio padre mi ci portava a giocare alla Battaglia Spaziale – e come si divertiva a quella guerra per gioco, reduce com’era dal Vietnam.
E insomma per me Porta Nuova District è ancora un esproprio. Però l’altro giorno, cercando foto della vecchia Milano, sono caduta proprio su ciò che c’era in quel punto, prima della mia casa: la vecchia Stazione Centrale, demolita nel 1931 per arretrarla di 2 chilometri. Era su un terrapieno che fu demolito più tardi: nelle foto i carretti tirati dai muli trascinano via i lastroni. Il selciato sembra terremotato. Restano visibili, nelle vie accanto, decine di alberghetti miserabili, o ad ore. C’era anche una “Casa del migrante”, proprio di fronte a casa mia.
Allora ho immaginato quale trauma, per i milanesi d’inizio Novecento, deve essere stata la fine della vecchia Centrale e di quella ragnatela di locande e postriboli, che con la stazione si sarebbe dissolta.
Finita la guerra, sugli spazi vuoti si costruì: condomini di dieci piani, per benestanti. Ora immagino che agli occhi degli abitanti di via Viviani e Cornalia, allora case di ringhiera col wc in cortile, quei palazzi con doppi servizi e box per auto risultassero antipatici. E noi, i nuovi venuti, eravamo gli usurpatori della vecchia Centrale con le locomotive a vapor.
La foto con la piazza della mia infanzia rivoltata e sconvolta mi ha detto che le città inesorabilmente cambiano; e gli uomini, se fanno in tempo a invecchiare, se ne sentono traditi.
Perché sempre tanto, tanto più bella, era la città dei loro vent’anni.
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