
una fogliata di libri
Una parola ancora
La recensione del libro di Franco Marcoaldi, Einaudi, 160 pp., 13,50 euro
In questa sua nuova silloge, Franco Marcoaldi utilizza la parola poetica per meglio definire ciò che gli succede intorno. La vita quotidiana allora si ferma ed entra all’interno di un gioco linguistico in cui suono e senso coincidono esattamente, una specie di rimario o filastrocca cantilenante in cui il racconto degli eventi sembra essere quello di un bambino, che scopre per la prima volta il mondo. C’è anche un messaggio nella poesia di Marcoaldi ed è quello che la vita deve talvolta rallentare, e che è necessario mettere da parte gli impegni e le pressioni di ogni giorno per dare spazio al riposo e all’osservazione, come recano alcuni versi presi dall’inizio del libro: “Fermati uomo. Fai una sosta, / medita, rifiata, prendi tempo. / Imita, emula, plagia, copia – / foss’anche una volta / a settimana – il giorno santo/ del riposo del Signore”.
Questa poesia è quanto più di inattuale esista, poiché si presenta con un abbondante taglio lirico in tempi in cui l’io dei poeti appare sempre più frammentato in molteplici identità, spesso intrattenendo un rapporto con il mondo oggettivo di tipo aspro e greve; e invece qui il baricentro è spostato all’interno di versi semplici in cui “il canto del mondo”, come lo chiamava Jean Giono, risuona all’interno delle varie immagini che si susseguono, senza però alcuna pretesa di dare una spiegazione alle cose della vita. Marcoaldi compone infatti una specie di cammino di formazione in versi, in cui le età biologiche si alternano e dove la speranza è più forte del rammarico per ciò che è stato perduto o dimenticato, come si può notare scorrendo le pagine di questa silloge. Ispirato da Octavio Paz, Wallace Stevens e Giorgio Caproni, il forte sedimento autobiografico è il fil rouge che struttura il libro, gli dà un taglio tutto personale e incisivo, ripulendolo dai luoghi comuni e dalle frasi fatte. L’essenzialità della parola viene bilanciata inoltre da un talento nel raccontare fatti dandogli un’aura quasi mistica, come se il poeta riuscisse a vedere le cose più di altri: “Non mi ricordo chi l’ha detto / ma è la pura verità: sono / le ore dell’ennui quelle / in cui l’uomo può andare / incontro alla rovina”. Con echi baudelairiani, è il passare del Tempo che spesso angoscia Marcoaldi, ma questo incedere rappresenta anche un dirigersi a piccoli passi verso la saggezza, una “parola ancora” che fa da tassello al mosaico del proprio mondo interiore, che non può non esistere senza un eventuale destinatario: “Dice il proverbio che il silenzio / è d’oro. Com’è che allora, / trepidante, tu chiedi una parola, / una parola ancora? Per scavallare / il buio della notte in vista / della luce ramata dell’aurora?”.
Una parola ancora
Franco Marcoaldi
Einaudi, 160 pp., 13,50 euro

Una fogliata di libri
Quella porta spalancata sul buio. Lettera da un infernot


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