Una fogliata di libri

Potrebbe anche non esserci più un mondo

Giuseppe Perconte Licatese

La recensione del libro di Howard P. Lovecraft edito da Adelphi, 161 pp., 14 euro

Contattato dai curatori dei carteggi di Lovecraft, Woodburn Harris, abitante per il resto oscuro del Vermont, riesumò questa strabiliante missiva di oltre settanta pagine, scritta fittamente a mano e datata 9 novembre 1929. Ai racconti intanto pubblicati su Weird Tales e destinati a gloria postuma, qui nessun accenno. Lovecraft aveva due personalità, una “cosmica e fantastica” rivolta alla creazione letteraria, l’altra “storica, domestica e antiquaria” le cui maniere erano quelle dello “yankee all’antica” radicato nella civiltà agraria del New England e infaticabile tessitore di una civile conversazione epistolare il cui presupposto era “l’esercizio povero e disprezzato della lettura” condotto nella propria biblioteca – vera estensione della personalità, come si capisce dai consigli a Harris su come allestirne una attingendo al mercato dei remainder e farsi foggiare un ex libris.

A catalizzare il lungo dispaccio era stato il giudizio negativo di Harris sul nuovo municipio di Albany, per Lovecraft plastica affermazione di una nuova, aliena classe dominante coi suoi disvalori estetici. A partire da qui è svolta una teoria dei cicli di ascesa e decadenza delle civiltà millenarie, insieme a premonizioni sull’incipiente “èra delle macchine” democratica (neanche essa calamità definitiva, dato che “ci saranno altre culture e non sapranno mai che la nostra è esistita se non grazie a vaghi miti popolari e alle scoperte archeologiche di fondamenta in cemento, pilastri di ponti, sottopassaggi e simili”) e agli indizi della superiorità del regime aristocratico, la cui ragione d’essere nella visione di Lovecraft (pregna come noto di assiomi biologistici e razzistici) non è la gestione del potere, ma la creazione e la trasmissione del valore e delle condizioni di possibilità di una vita dedicata al pensiero e alla immaginazione. Di digressione in digressione, tra le altre cose e perché tutto davvero “si tiene”, la disamina del posto della guerra nella vita degli uomini e l’evoluzione dei costumi sessuali fino al punto in cui “eliminato il mistero e i tabù” l’erotismo sarà svilito. 

Se l’unico maestro tedesco di Lovecraft è Spengler, ammirazione è per i francesi, “i greci del mondo odierno” che – scrive quasi prefigurando il suo futuro lettore Houellebecq –  svettano per “sagacia intellettuale, sensibilità esistenziale e adeguato disincanto”. La percezione dell’assedio subìto dalle forme di vita tradizionali accomunava Lovecraft a T.S. Eliot, di cui a un punto è contemplata la scelta di “tornare in Inghilterra, fonte della nostra cultura, dove la sua morte sarà più lenta che in questa contrada coloniale”. Ma al fondo del contegno del recluso di Providence non c’era speranza di salvezza, bensì la fine di ogni illusione di immortalità, per il singolo come per le civiltà.

   

H.P. Lovecraft
Potrebbe anche non esserci più un mondo
Adelphi, 161 pp., 14 euro

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