Ansa

Una fogliata di libri

Rinnegando il pensiero di quell'alba. Lettera da una lama tagliente

 Marina Corradi

Cronista alle prime armi, mi avevano mandata da Milano all’obitorio di Bologna. Nel silenzio, nelle luci giallastre, mi colpì un braccio di un morto che cadeva diritto dalla barella: un istante e siamo solo cose, per sempre

In una quieta domenica mattina imbattersi sul Corriere web in un reportage di Marta Serafini da Odessa. E’ arrivato un treno dal Kursk, carico di 1.500 sacchi. 1.500 caduti ucraini ritornati a casa. Ragazzi fra 25 e i 35 anni. Su ogni sacco un numero. Si lavora ostinatamente a identificarli, da un particolare, dal Dna, per ridarli almeno alle famiglie. Ci sono anche le foto, da Odessa: e leggo e capisco che farei meglio a fermarmi, ma non posso. Una frase  mi colpisce come una lama, sollevando un ricordo. Dice dell’odore di quel treno, che rimarrà addosso per sempre a chi lo sente. L’odore della carne che si disfa. “Nella mente – scrive la collega – si installa comodo il pensiero che l’uomo è solo una bestia, e mai nessun sorriso riuscirà a cacciarlo”.

 

Riconosco quel pensiero. Vigilia di Natale 1984, in una galleria dell’Appennino il Rapido 904 era saltato in aria. Cronista alle prime armi, mi avevano mandata da Milano all’obitorio di Bologna. Arrivai prima dell’alba, non c’era nessuno; solo, in un corridoio, due barelle con i primi corpi recuperati, coperti da lenzuola. Nel silenzio, nelle luci giallastre, mi colpì un braccio di un morto che cadeva diritto dalla barella: la manica del maglione, l’orologio al polso. Immobile, ma di un’ immobilità mai vista prima. Un abbandono come quello delle braccia dei burattini del mio teatrino, da bambina, la sera, quando andavo a dormire. Quel braccio immoto mi diceva, con la calma dell’evidenza: “Lo vedi, siamo solo cose”. 

 

Uscii dall’obitorio di Bologna, all’alba, con un tumulto addosso. Quante storie, mi dicevo con rabbia, mi avete raccontato, tutti. Ma, hai visto quel braccio? Un istante e siamo solo cose, per sempre. Agli amici non dissi niente, ma non ero più la stessa. Mi ci è voluta una vita per rinnegare il pensiero di quell’alba. Ancora oggi, davanti a quel treno a Odessa, risentirei quel pensiero. Ma: “Non è vero”, risponderei, pure nello strazio. Certa, una vita dopo, che in Cristo nessuno è cosa, e nessuno muore per sempre.

Di più su questi argomenti: