
Ansa
Una fogliata di libri
Un po' di ordine sul genere del saggio, romanzo d'avventure delle idee
Da Montaigne a Pasolini, da Cecchi a Debenedetti: evita i gerghi e trasforma le idee in personaggi, offrendo conoscenza dove le scienze specialistiche falliscono. Né manuale né trattato, inventa i suoi lettori e sfugge alle mode accademiche
In questo periodo mi capita spesso di parlare in pubblico di saggismo. Così ho raccolto una serie di domande, obiezioni ed equivoci, i quali dimostrano la confusione che regna sul genere del saggio. Forse allora, anche in una breve sintesi, non è inutile mettere un po’ d’ordine. Il saggio moderno, alimentato da Seneca e da Plutarco, dalle lettere degli umanisti-scienziati e dai capitoli in terzine, nasce col progressivo sgretolarsi dei sistemi metafisici medievali. A differenza del trattato accademico e dell’instant book, esige di saper circoscrivere con esattezza una verità che si dà solo “in situazione”, nell’esperienza di un singolo di fronte a un evento o a un incontro (di qui la sua tendenza al dialogo socratico). Il Dante o lo Shakespeare del saggismo è Montaigne. Seguono i giornalisti inglesi e gli illuministi francesi del Settecento, cui si affianca una tradizione italiana ricchissima di opere ibride, che dopo Machiavelli e Guicciardini comprende Beccaria, Manzoni, Leopardi, De Sanctis.
A inizio Novecento, il nostro scrittore più influente è un saggista filosofico come Croce; lungo tutto il secolo, di rado la prosa dei nostri romanzieri raggiunge il livello di quella di critici-saggisti come Cecchi, Longhi, Praz o Debenedetti; e negli anni del boom perfino alcuni narratori e poeti cominciano a dare il meglio di sé nel saggio: Pasolini, Sciascia, Ginzburg… “Le idee di un saggista sono come i personaggi per un romanziere. Non ci sono idee senza (…) la storia drammatica” impiegata a produrle, diceva Garboli. E’ una definizione illustrata ante litteram da Savinio, che ne fa un manifesto di poetica: “Molti mi domandano il perché di questo mio passare da argomento ad argomento. Non si capisce? Perché io scrivo romanzi di avventure. Quali avventure oltre a quelle delle idee, ora che il mondo è tutto esplorato?”. I saggisti sanno cogliere le analogie concettuali tra caratteri che riguardano ambiti diversi della cultura e della realtà. Celebre, ad esempio, è un pezzo di Emilio Cecchi intitolato “Pesci rossi”, dove il differente aspetto dei pesci nella palla di vetro di un pasticcere – di profilo animali noti, di fronte idoli mostruosi – ispira all’autore una metafisica tascabile sulla contrapposizione tra occidente e oriente. In un brano non meno famoso, Giacomo Debenedetti spiega che il personaggio-uomo del romanzo tradizionale si sta dissolvendo come le misure newtoniane nella fisica, e arriva a parlare di “personaggio-particella”.
Per compiere con profitto queste trasformazioni metaforiche, bisogna mantenere un tatto stilistico che è il contrario dei link da retorica interdisciplinare. Il saggio non divulga un sapere che si potrebbe esprimere in altro modo. La sua forma ha una insostituibile funzione conoscitiva. Non è cioè “poco scientifico”, come pretendono i professori delle nostre degradate humanities; è invece la sola scienza che si dà di certe esperienze, davanti alle quali i gerghi pseudospecialistici falliscono. Si pensi ai modelli teorici (poststrutturalismo, ermeneutica, neodarwinismo…) che decennio dopo decennio invadono le facoltà letterario-filosofiche, più permeabili alle mode di qualunque teenager, e che acquistano una natura meramente burocratica: oggi, ad esempio, ne è spia il termine “postura”, usato ovunque senza necessità. Ecco: il saggio evita o scioglie questi idoli gergali. La sua costitutiva laicità non sopporta né le parodie ideologiche delle religioni, né la riduzione degli stili a stilizzazione. E’ il genere del tentativo, di chi non ha certezze. Da questo punto di vista è attualissimo; ma è anche inattuale - perché presuppone, a comprenderne le sfumature culturali, un pubblico abbastanza omogeneo che sembra scomparso. Forse però è già da Montaigne, e dalle prime riviste moderne, che il saggio deve inventare da sé i propri lettori.