
Una fogliata di libri
Cura
La recensione del libro di Mauro Sambi edito da Ronzani, 112 pp., 15 euro
Occorre “farne parole scarne” dei sintomi di un male incurabile; dell’orizzonte di vita che s’inclina e inizia a nascondere il chiarore. E’ un “atroce massacro dell’incanto” quello che si consuma nella silloge che ha consegnato a Mauro Sambi il prestigioso Lerici-Pea, ed è un’opera, la sua, che al contempo affida ai lettori gli occhi con cui ancora saper guardare. "Cura" è titolo e rimedio: è poesia, che, da Shakespeare a Zanzotto a Sambi stesso, lambisce il dolore e, di fatto, pone un “argine al male”.
Il poeta, nei suoi sonetti e ipersonetti, ricostruisce i meccanismi primigeni dell’esistere e riconosce che, “quarant’anni dopo, quella / zona interiore [la festa del primo ascolto, e, per esteso, del vivere tutto] è fredda per l’assenza di ogni attesa”. Ma non ci si crede. Sambi, in questi versi, vibra, attende nel ricordo. Proprio perché “la vita quando duole” sa farsi ancora più importante. “Non ha più tempo / da perdere, ora sa / di morire – si tiene / stretto dentro il maltempo / alla sua libertà”.
C’è un tu, un voi, più volte richiamato, perché “l’integrità del dono ricevuto da te” “fa di me chi sono e chi sarò, da qui all’ultimo sussurro”; perché “è la sete / di memoria a evocarvi, a invocare voi che siete / la radice del mio sperare”.
Questa cura è “luce illesa”, agnizione del vero, sovvertimento dell’ordine (“sarò io, / alla fine, o sarai tu chi resta solo?”), è la capacità di “salvare / ogni indizio di festa /che segna la discesa”; questa cura è “intatta bellezza”, è scrivere versi “in cui ci sia un pinguino”.
Questa cura è la vita stessa, “l’eterno tangente al tempo in noi” e Sambi è un avvertito conoscitore delle promesse e delle disillusioni. Vede i confini, abita gli ossimori apparenti – lui che mastica di particelle e traduce Shakespeare: “E’ autentica esperienza dell’incanto / tutto quanto dal fondo affiora e trema / sull’orlo, irriducibile a uno schema saputo, prevedibile, immaturo”.
S’infila, tra le parole del poeta, il rammarico della fine che palesa il suo esistere e regala così nuova forma a quello che altrimenti corre via inosservato; si maledicono il dolore del corpo e gli incagli della mente; produce un sorriso il margine, che ancora c’è, di guardare il prossimo e comprenderne l’imperfezione; sconfina, tra i versi, l’amore – mai nominato. Prevale, su tutto, il lucido affidarsi una certezza: “Questa lingua oggi è cura alle ferite dei sassi”.
Sedici componimenti di Shakespeare chiudono la raccolta, in cui la traduzione mostra di essere, oggi e sempre, nuova scrittura e ricerca di un senso che si fa trovare. E allora – con in mente il titolo della raccolta, Cura – cercate la risposta alla domanda del poeta: “Cosa muove i sonetti?”.
Mauro Sambi
Cura
Ronzani, 112 pp., 15 euro