
Una Fogliata di libri
Win
La recensione del libro di Harlan Coben edito da Longanesi, 400 pp., 22 euro
Harlan Coben è una macchina da guerra del thriller: oltre 80 milioni di copie vendute, tradotto in 45 lingue, in cima alle classifiche di gradimento del New York Times che lo definisce “un maestro della suspense contemporanea”. Uno scrittore che infatti, non per niente, è uno degli autori preferiti in assoluto da Netflix, che lo ha arruolato come produttore seriale dei propri drammi da aeroporto. Torna in libreria con "Win" e questa volta punta tutto il malloppo su un personaggio dal nome altisonante, Windsor Horne Lockwood III, che i suoi lettori conoscono bene per essere già apparso nella fortunata saga dedicata al detective Myron Bolitar. Windsor Horne Lockwood III, per tutti semplicemente Win, appunto, è l’ultimo erede di una dinastia di miliardari newyorchesi. E’ bello, colto, violento e deviato al punto giusto. Un mix tra un Patrick Bateman educato a Princeton, che però è stato addestrato da Jason Bourne, e un Bruce Wayne senza trauma. La trama come sempre non è particolarmente raffinata ma funziona comunque come un orologio svizzero che gira su tre assi. C’è un vecchio crimine irrisolto, un prezioso dipinto ritrovato e un misterioso omicidio avvenuto in un attico all’ultimo piano di un grattacielo di Manhattan. Il nostro eroe si districherà così in un dedalo composto da ex terroristi, cascine degli orrori e vendette lasciate a marcire per decenni, picchiando, uccidendo, fracassando mascelle, ma sempre con un abito immacolato, confezionato a Savile Row, addosso. A colpire davvero, più che l’intreccio, è questa volta la minuziosa descrizione del protagonista: un antieroe di un’epoca disillusa che per tutta la durata del racconto non cerca mai empatia né la suscita e, anzi, sembra crogiolarsi nel proprio narcisismo patologico e nei suoi eccessi di violenza. Win infatti non è solo un personaggio perfettamente costruito a tavolino: è un sintomo. Un sintomo dell’America trumpiana, che ha trasformato la ricchezza in destino, e più in generale della attuale società contemporanea, aspirazionale e sempre più selettiva. Il lettore resta così intrappolato in questa spirale perfetta come in preda di un algoritmo che funziona troppo bene per poter essere ignorato. Win si legge facilmente e la sensazione che si prova voltando le pagine è simile a quella di bere un drink in un club esclusivo al quale non potremmo mai essere ammessi. Ma in fondo, come diceva Groucho Marx: “Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me”.
Harlan Coben
Win
Longanesi, 400 pp., 22 euro