Un liberalismo (quasi) introvabile

Carlo Marsonet

La recensione del libro di Francesco Raschi edito da Le Monnier, 113 pp., 10 euro

Pur avendo molte teste – forse tante quante sono i suoi esponenti – la dottrina liberale mantiene alcuni punti fermi: la centralità dell’individuo, l’enfasi posta sulla sua libertà, la sua proprietà, i suoi diritti, un certo scetticismo nei confronti del potere (politico), e dunque la strenua convinzione che esso vada limitato e frazionato il più possibile. Data questa imperfetta e lacunosa premessa, sul piano internazionale si può dire che il liberalismo anela alla pace e ripudia la guerra: “Non la guerra ma la pace è la madre di tutte le cose. Solo il lavoro costruisce, crea ricchezza e pone così le basi materiali del progresso spirituale dell’uomo. La guerra distrugge soltanto”, sosteneva Ludwig von Mises. Eppure, almeno per come viene usualmente inteso nello studio delle relazioni internazionali, il liberalismo diventa quasi sinonimo di idealismo o utopismo progressista. Il che pone più di qualche problema allo studioso attento e scrupoloso.
E così è Francesco Raschi nel suo ultimo lavoro. In Un liberalismo (quasi) introvabile. Il liberalismo classico tra pace e guerra, lo storico del pensiero politico dell’Università di Bologna cerca di fare i conti con la discrepanza detta. Studioso di liberalismo francese, con particolare enfasi su pensatori quali Benjamin Constant, Alexis de Tocqueville e Raymond Aron, di un eccentrico come Bertrand de Jouvenel e del rapporto tra teoria politica e dimensione internazionale, Raschi prende in esame il pensiero di tre classici liberali, Kant, Constant e Tocqueville, e di uno meno noto, Gustave de Molinari (con un’appendice su La grande illusione di Norman Angell), per evidenziare come il liberalismo classico sia lungi dal poter essere posto in antitesi al realismo politico. Già in autori precedenti e tipicamente riconducibili all’alveo liberale – Locke, Montesquieu e gli estensori dei “Federalist Papers” – Raschi chiarisce come si possano trovare solide tracce di una prospettiva realista. Basti pensare alla celebre affermazione del Federalist n. 51, scritto da James Madison: “Se gli uomini fossero angeli non occorrerebbe alcun governo. Se fossero gli angeli a governare gli uomini, ogni controllo esterno o interno sul governo diventerebbe superfluo”. Sul piano internazionalistico, la proiezione di questo pessimismo antropologico non viene meno. Ciò che può essere fatto è tutt’al più attenuare la propensione conflittuale dell’uomo attraverso lo scambio. Non certo idealizzarne la natura o raddrizzandone il legno storto.

    

Francesco Raschi
Un liberalismo (quasi) introvabile
Le Monnier, 113 pp., 10 euro

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