
Una Fogliata di libri
La tomba di Lenin
La recensione del libro di David Remnick edito da Settecolori, 800 pp., 34 euro
David Remnick, oggi direttore del New Yorker, ha passato dieci anni al Washington Post, iniziando coprendo il football per poi esser spedito negli anni Ottanta a Mosca come corrispondente. Ha imparato il russo, e ha vissuto in prima persona gli ultimi anni dell’impero sovietico, mettendo poi tutto in un corposo libro, La tomba di Lenin, che nel 1994 ha vinto il Pulitzer e che ora Settecolori pubblica – finalmente! – in italiano, nella traduzione di K. Bagnoli. L’uscita arriva proprio nei giorni in cui appare la notizia di una nuova statua di Stalin nella metro della capitale russa, giorni in cui il putinismo sembra contenere l’eco degli orrori perpetuati nei decenni dal dittatore georgiano. Il tempo può esser morbido con i mostri del passato, e la lettura di Remnick, attuale più che mai (perché le opere lucide, puntuali e sofferte non invecchiano mai), ci può aiutare anche a capire cosa lega il baffone all’ex agente del Kgb.
Scene orwelliane. Stivali pieni di vermi, gente che dorme con una Browning sotto il cuscino, paranoia, “nemici del popolo”, “supremazia del collettivo”, donne dall’accento bielorusso e “dagli occhi azzurri come fiordalisi”, chiese e sinagoghe distrutte, dacie circondate da betulle, tatari della Crimea, gatti lanciati dalla finestra, parate, discorsi, applausi, code per il pane, vedove della rivoluzione. Uomini ancora in vita che erano stati vicini “a Stalin quanto Göring a Hitler” e che Remnick cerca di far parlare di un passato che alcuni gettano nell’oblio. “Volevo soprattutto sedermi nella stessa stanza con lui, per vedere che aspetto aveva un uomo malvagio, per sapere cosa faceva, quali libri teneva a portata di mano”. E poi il desiderio di una parte del popolo di distanziarsi da quel periodo, e di far vedere le atrocità dello stalinismo al mondo, i lenti passi di Gorbaciov, fino ai movimenti dei nazionalisti, dei radicali pro-capitalisti e le sollevazioni nei satelliti. Oltre che un manuale di giornalismo, La tomba di Lenin è un resoconto informatissimo di un grandissimo cambiamento. “Negli anni successivi alla morte di Stalin, lo Stato era un vecchio tiranno accasciato in un angolo, con la cataratta e i calcoli biliari, i muscoli flaccidi. Portava scarpe di plastica e un vestito logoro che puzzava di sudore. Trangugiava tutto quello che gli capitava e se la faceva addosso”.
Tra le mille storie che escono fuori saltano agli occhi quelle dei “convertiti”, di chi era cresciuto nel culto della personalità e che il giorno della morte del dittatore piange lacrime vere e finisce poi per doversene scappare negli Stati Uniti, disilluso, o di chi si ostina a manifestare nonostante il pugno di ferro, come si fa ancora oggi sotto al Cremlino per parlare dell’invasione dell’Ucraina, o come la chiamano i putiniani, “operazione militare speciale per denazificare il Donbass”.
David Remnick
La tomba di Lenin
Settecolori, 800 pp., 34 euro

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