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Una fogliata di libri

Noi, un infinito chiuso in un vaso di coccio. Lettera da una radiografia

Marina Corradi

La fragilità del corpo svelato dalla scienza e l'urgenza di prendersi cura di ciò che non si vede: la parte invisibile, forse la più vera, che chiamiamo anima

Nella radiografia la colonna vertebrale, storta da sempre, appare ingrossata alle vertebre lombari: cariche di anni, di tre gravidanze, di bambini in braccio, di valigie e pc portati di corsa verso i gate. La mia colonna nella lastra di stamattina è malconcia e usurata come un componente di un aereo, crepato dalla stanchezza del metallo.  Ma non è questo il problema. E’ che sempre più le immagini di ecografie, tac, risonanze, mi generano un’inquietudine. Questo mio vecchio hardware, ben costruito peraltro, robusto, ha fatto sempre il suo dovere, e ha perfino formato in sé tre bambini che io mai avrei saputo costruire. Ma ora i raggi o le onde che lo traversano e lo svelano – arterie ingrossate, articolazioni arrugginite, e il nero misterioso del ventre, pancreas, colon, chissà – mi provocano un’incredulità sofferente, e una pena difficile a dirsi. Quindi, io sarei tutta qui? Una jeep malconcia, un diesel con duecentomila chilometri, che tuttavia ancora va. A giudicare dalla scienza, con i criteri della scienza, che vede e misura, io sarei tutta qui. Nel battito del cuore cominciato nel buio, prima scintilla – non ho mai capito da cosa generata – e nei valori chimici del sangue.


Mi rende infelice vedere, nell’ombra di queste lastre, che io sono, in apparenza, tutta qui, che questa è l’architrave fondante di me. Sessanta chili, ossa e viscere usate. File di memoria colmi nei neuroni, che si spegneranno in un istante. La materialità opaca del corpo ora mi pesa. Non sono io, non tutta intera io, lì dentro. E le tac non vedono che una parte di un uomo: i grumi, i cancri, i vasi del cuore diventati angusti. Della macchina, i guasti. Ma io, noi, siamo ben altro: siamo ciò che vediamo e amiamo e ricordiamo, un infinito chiuso in un vaso di coccio. E non voglio più vedermi in questi specchi bui. (D’altronde, prima o poi di qualcosa si dovrà pure morire). Una ribellione: d’ora in poi mi curo dell’altra me, l’invisibile. Quella che si potrebbe, con termine desueto, chiamare anima.