
Benedetto Croce (foto ANSA)
UNA FOGLIATA DI LIBRI
Croce e Gentile, manifesti d'un secolo fa
Prima uscì il Manifesto gentiliano degli intellettuali fascisti, poi quello crociano degli antifascisti. Se i due pensatori sanno illuminare i rispettivi punti deboli è perché hanno lavorato insieme per un decennio e battuto strade molto simili, a partire dal tentativo d’inglobare e superare Hegel e Marx
Un secolo fa, tra l’aprile e il maggio del 1925, due opposti gruppi di uomini di cultura capeggiati rispettivamente da Giovanni Gentile e da Benedetto Croce presero posizione in pubblico sul regime instaurato a gennaio, dopo la crisi seguita al delitto Matteotti. Prima uscì il Manifesto gentiliano degli intellettuali fascisti, poi, a replica, quello crociano degli antifascisti. In verità l’antifascismo di Croce era recentissimo, e maturato dopo una lunga sottovalutazione del regime; ormai vecchia, invece, era la polemica con l’altro rappresentante del neoidealismo nazionale. Le prime schermaglie risalgono al 1913, quando sulla Voce” il filosofo napoletano accusa l’ex sodale di promuovere una pseudomistica, e il siciliano ribatte che il suo attualismo costituisce al contrario il giusto riconoscimento della continua metamorfosi del reale, tradita dalle rigide categorie crociane. Di lì a poco, la Grande guerra allarga la crepa: mentre Croce rifiuta il nazionalismo bellico, Gentile sublima la carneficina con un’oratoria da pedagogo. Si tratta, in ogni caso, di uno scontro in famiglia.
Se i due pensatori sanno illuminare i rispettivi punti deboli è perché hanno lavorato insieme per un decennio e battuto strade molto simili, a partire dal tentativo d’inglobare e superare Hegel e Marx. Entrambi hanno costruito la loro fortuna sulla lotta contro il positivismo e il “democraticismo” tardottocenteschi. Croce però, dopo i primi saggi, rigetta le conseguenze radicali delle proprie premesse. La sua “Estetica” autorizza la poesia pura, che lui detesta; la sua teoria della prassi incoraggia Mussolini, a cui preferisce la palandrana di Giolitti e la religione del liberalismo. Gentile è più conseguente, ma porta l’idealismo all’assurdo. Nel suo Manifesto, il fascismo diventa una “missione” religiosa, Mazzini il Giovanni Battista del Duce, e lo squadrismo un energetico che ridà coesione all’organismo patrio disgregato dai liberali individualisti. Ma nel contromanifesto, Croce ricorda che il lavoro intellettuale non può essere deformato dalla militanza: monito che varrà anche per i marxisti, e per tutti coloro che anziché riflettere sulla fisiologica parzialità di ogni contributo culturale se ne fanno un alibi per trasformarla in faziosità cieca. Il pensiero che si dissolve in falsa mistica, come l’attualismo, approda a un vuoto che può venire riempito da qualunque gergo. Croce ha la concretezza dello scrittore; Gentile sceglie quell’astrazione che per il napoletano è “morte”.
Purtroppo, come dimostra la recente Italian Theory, dopo il tramonto della lezione crociana ha vinto appunto il tipo del “puro filosofo” che confonde parola e azione, che scambia lo squallore di fatto con l’entusiasmo per una rivoluzione fantastica, e che riconduce illusoriamente alla tradizione italiana l’intera filosofia moderna. Se Croce ha avuto una vita tragica, e pur esorcizzando gli eventi col sistema non li ha mai cancellati, Gentile di tragico ha avuto solo la morte, prima della quale ha conosciuto soltanto un ininterrotto, giocondo e – bisogna riconoscerlo - generoso attivismo. Lo ha spiegato bene Cesare Garboli, che all’inizio di questo secolo si è espresso con grande acume sul presente e sul futuro dei nostri due emblemi filosofici novecenteschi, di cui sembrano resistere solo gli aspetti negativi e le diagnosi inclini a confermare l’impossibilità di cambiare in meglio la realtà che ci circonda. “Non si può trasformare il mondo; si può solo inseguirlo” ha osservato Garboli. “Rispetto all’euforia illuministica, o alla ragione hegeliana, la nostra situazione si è rovesciata. La nostra ragione è critica, non creativa; e l’uomo è oggi oggetto, non soggetto di Storia. Questo ci avvicina a Croce; ma, stranamente, ci fa schiavi di Gentile”.