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una fogliata di libri
Uno Zibaldino dell'insulto musicale
Dall'“incapace” Claude Debussy al “fallimento senza speranza” di Strauss, fino alla Tosca “nauseabonda" di Puccini: non c'è opera o autore che si salvi dalla miriade di recensioni negative d'epoca, ritagliate e raccolte da Nicolas Slonimsky
Il libro più divertente dell’anno – per lo meno fino a ora – si intitola “Invettive musicali”, lo pubblica Adelphi e l’ha messo insieme a colpi di forbici Nicolas Slonimsky, pietroburghese americano, direttore d’orchestra e compositore. Che ha ritagliato una miriade di recensioni malmostose (la taglia del libro è XL, 400 pagine) tratte da giornali e riviste. Si va dal Times al New York Recorder, dal Daily Telegraph al Sun, dal Boston Herald al Sovietskaja Muzyca. Ma non si preoccupi il lettore, si può saperne di musica come Meloni di spread e la lettura risulterà ugualmente ghiotta. I motivi sono molti, parte dei quali attengono all’arcinoto principio delle ciliegie – cominciate col primo ritaglio e gli altri verranno da sé, si può perfino tirar tardi. Poi ci sono le ragioni più tecnico-estetiche – interessante capire con quali argomenti si possa travolgere di critiche un Brahms o un Wagner. Infine, le questioni più – diciamo così – laterali, che hanno a che vedere con lo spettacolo sconcio ed eccitante della fallibilità umana: un fuoco d’artificio via l’altro di miopie, di incapacità di cogliere e non solo di sapere, di sentire e non solo di ascoltare, di intuire e non solo di ripetere.
Fior da fiore: “I farfugliamenti di un grande babbuino”. Ossia, l’opera di Berlioz. Anche Claude Debussy è un incapace, uno il cui unico pregio è di rendere i musicisti “affamati di altra musica che sia semplicemente logica e bella”. Strauss è “un fallimento senza speranza”, uno che può solo “esplorare a fondo ogni possibilità in materia di cacofonia”. La “Tosca” di Puccini è una vera merda, “uno spettacolo capace di indurre la nausea”, infatti, si chiede il Moralizzatore scudisciante, “che c’entra con la musica un uomo libidinoso che insegue una donna indifesa?” (Col medesimo argomento si possono radere al suolo “Lolita” di Nabokov, “Tess dei d’Uberville” di Hardy, e la mitologia greca in generale, ma che sarà mai). Wagner è “scompigliato fracasso coribantico, frastuono di ottoni, padelle e marmitte”. Liszt è “rumore ripugnante”. La Quarta Sinfonia di Cajkovskij è “cianfrusaglia confusa” in cui spicca “l’uso stupido degli ottoni”, mentre la Prima Sinfonia di Brahms è la “faticosa ripetizione tipica di chi non riesce a esprimere il proprio pensiero una volta per tutte”. Mentre si ride, vien da pensare che in fondo oggi basta aprire Amazon, gettarsi su un capolavoro qualunque – “Il rosso e il nero”, “Guerra e pace”, “Don Chisciotte” –, andare alle opinioni (chiamate recensioni) degli acquirenti (chiamati lettori) e godersi lo spettacolo. Sui giornali, del resto, son tutte lodi, e lodando non ci si sbaglia mai.
Proprio per questo – la confessione duole, ma va fatta – scorrendo la raccolta si provano un piacere colpevole e un’indicibile invidia per la disinvoltura con cui certe penne si gettavano nel precipizio e davano alle cose il loro nome, con audacia argomentativa magari discutibile, certo, ma almeno (quasi sempre) con argomentazioni. E forse è facile ridere, oggi, di un tizio che, ai tempi di Schubert, diceva che l’arte di Schubert era prostituzione. Ma non sarà più deprimente leggere gli elogi fasulli e sbracati, spesso di matrice familistica e/o postribolare, che si riservano, oggi, a opere definite immortali capolavori e che, forse, domani, saranno solo flebili sussurri di Carneadi? In coda a questo Zibaldino dell’insulto musicale, un coltissimo scritto dello stesso Slonimsky intitolato “Il rifiuto dell’insolito” – presi numerosi appunti.