I due stendardi
La recensione del libro di Lucien Rebatet, Edizioni Medhelan, 2 voll., 1.560 pp., 62 euro
Anche l’Eros vuole una sua teologia, poiché la passione è un sentimento che non ti abbandona mai. E’ come l’immagine cuncta videns dei ritratti tardomedievali e rinascimentali. Ti segue prima che tu la segua, forma il tuo sguardo perché ti guarda. La passione è questo, una tempesta che genera una tempesta. E questa forza elevata a potenza ha bisogno di una logica di Dio, cioè un discorso sulle condizioni di esistenza. Ogni teologia è, quindi, rivolta a se stessi (il ché è ovvio, Dio non ha bisogno di discorrersi addosso). Ne va della nostra vita, della nostra identità. Lucien Rebatet, con I due stendardi ha scritto il più importante trattato di teologia passionale, o teologia erotica, del Novecento. E questo mostro filosofico non si esaurisce nei discorsi tra Michel, l’anarchico nietzschiano, e Régis, il seguace di Ignazio di Loyola. I due daranno vita a un triangolo amoroso con Anne-Marie, fonte inesauribile di inventiva letteraria in grado di far deflagrare gli ormoni e, con essi, il pensiero, dando prova di ciò che il biologo Damasio ha definito in un suo libro “errore di Cartesio”. Rebatet, in altre parole, scarnifica i sentimenti – che sono sempre sentimenti morali – e li rimpolpa con la nuova filosofia. Per farlo si serve del romanzo tradizionale, da Il rosso e il nero a Madame Bovary, per superare immediatamente il genere stesso e dar vita a un grande romanzo-senhal, dove per romanzo è da intendersi vita e per stile è da intendersi il modo stesso in cui il pensiero si svolge.
Tale è la portata filosofica di questo libro letterario, che persino il titolo, I due stendardi, rimanda a una tensione dialettica, che però non è hegeliana, superabile, risolvibile. Non c’è risoluzione tra Dio e passioni, la grande politica del Novecento e le sue atrocità: la storia è una contraddizione. La stessa che fa convivere in Rebatet, pamphlettista antisemita tra i più violenti, l’ideologia dell’orrore per antonomasia, quella nazista (che da un certo punto di vista sosterrà sinceramente, dall’altro sposerà per realismo politico, a suo dire, e amore per la Francia) e lo spirito di un anarchico della letteratura mondiale, un anticlericale cristiano che prega e si interroga attraverso le parole di un gesuita.
I due stendardi è considerato un capolavoro, al pari dei libri di Louise-Ferdinand Céline (altro antisemita). Ma forse definirlo tale è fargli un torto. Perché ancora troppo misconosciuto al grande pubblico. E’ giusto che venga allora immaginato come un romanzo clandestino, un blocco dalla geometria liscia e curata dei grandi classici, che tuttavia conserva dentro di sé le ruvidezze aliene di una mente geniale, che il dogmatismo contemporaneo non ci permette di cogliere pienamente. Ma arriverà il momento.
Lucien Rebatet
Edizioni Medhelan, 2 voll., 1.560 pp., 62 euro