Una fogliata di libri

Kant e gli extraterrestri. Cosmopolitica e vite interstellari

Matteo Moca

La recensione del libro di Peter Szendy. Luiss University Press, 168 pp., 20 euro

Immanuel Kant, filosofo della razionalità e del rigore, credeva nella vita fuori dalla Terra, credeva nell’esistenza degli extraterrestri, o quantomeno si chiedeva, con quella che lui avrebbe definito una “congettura”, perché non avrebbe dovuto esserci vita intelligente in altri luoghi del cosmo. Il libro del filosofo francese Peter Szendy (con la traduzione di Valerio Cianci) non cerca di scoprire cosa pensasse veramente Kant sulla vita aliena, ma usa invece le riflessioni di Kant disperse in tutta la sua opera su questa possibilità per provare a comprendere la necessità del “perché no”, l’urgenza di immaginare un punto di vista assolutamente altro con cui confrontarsi per comprendere la natura umana. Questo discorso ipotetico, che Szendy chiama “filosofinzione” (Jacques Derrida scriveva: “Potremmo dimostrare che tutti i filosofi, a un certo punto, hanno reso la finzione una pietra angolare del loro discorso”), diventa indispensabile perché mette in scena la necessità di un altro con cui confrontarsi, permette di sviare da un paradigma ottuso che ragiona solo con sé stesso e, infine, incarna “una sorta di necessario al di là della ragione umana”.

 

Muovendo da questo presupposto allora il libro di Szendy, che prende come pretesto le riflessioni sugli extraterrestri di Kant, di Carl Schmitt (di cui nei primi capitoli vengono enucleati con straordinaria chiarezza alcuni luoghi del pensiero a partire dalle definizioni di territorialità e guerra), dell’anticipatore dell’Illuminismo de Fontenelle, di Husserl, ma anche alcuni capisaldi della fantascienza come “L’invasione degli ultracorpi”, il film di John Carpenter “Essi vivono” o archetipi dell’immaginazione cosmica come il “Viaggio nella Luna” di Georges Méliès, indaga i significati e i limiti di un’imprescindibile, ancor di più in tempi di esplorazioni spaziali, cosmopolitica, sulla necessità cioè di un’alterità, di un altro dall’uomo affinché l’uomo possa definire sé stesso e il suo stare nel mondo. “Il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me” recita il celebre passo kantiano che questo libro di Szendy fa risuonare mettendo in luce l’importanza, in un’epoca in cui la globalizzazione si spinge anche oltre i confini terrestri, di vedere anche attraverso gli occhi del’'altro e di interrogarsi, nella maniera più profonda possibile, su cosa significhi “umanità”.
 

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