Massimo Cacciari nell'elaborazione grafica di Enrico Cicchetti

Una metafisica concreta per dar vita a un pensiero pensante

Michele Silenzi

Oggi l’attività filosofica non si può ridurre a olio che unge i pistoni della macchina, ma deve essere in grado di riflettere sull’eccedenza che rimane al termine della notte di tutte le domande scientifiche-deterministe. L’ultimo libro di Massimo Cacciari

Una celebre proposizione del Tractatus di Wittgenstein, la 6.52, rimane ancora oggi il più asciutto e penetrante ritratto del rapporto tra la moderna pulsione esistenziale e la potenza della conoscenza scientifica: “Noi sentiamo che, persino nell’ipotesi che tutte le possibili domande scientifiche abbiano avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure sfiorati. Certo, allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta”. 


Siamo nell’epoca del sapere assoluto. Sappiamo tutto, nel senso che siamo in quella condizione unica nella storia dell’umanità in cui sappiamo di sapere moltissimo e, simultaneamente, di non sapere abbastanza; soprattutto siamo coscienti del fatto che lo sforzo della conoscenza è interminabile. Ammiriamo la ragione strumentale che ci consente di adattare il mondo alle nostre esigenze e che, allo stesso tempo, ci spoglia di interesse per ciò che eccede il dato immediato. Un’eccedenza che rimane però ciò che vi è di più reale e significativo, pur rimanendo su di un abissale sfondo. Uno sfondo, un principio, che resiste a qualsiasi deterministica disamina scientifica ed è proprio per questo, per la sua reale concreta complessità, oggetto di continua “interrogazione”. L’apparenza deve aprire all’inosservabile.


Il domandare filosofico è il domandare più radicale e ha nella sua genuina impossibilità a risolversi in una teoria definitiva la sua potenza, e il rispecchiamento di ciò che è più proprio all’uomo: l’inesausta ricerca della Verità (solo approssimabile, “con un volto che cambia con la vita”) passando, come naviganti di porto in porto, di verità in verità.  

 

In tal senso vale la pena confrontarsi con l’ultimo libro di Massimo Cacciari, “Metafisica concreta” (Adelphi), nel cui titolo vi è già un intero (interminabile) programma. Ma è proprio questa vastità, questo scopo interminabile la luce del libro: “è lo stesso confine perennemente in movimento dell’osservabile a imporre l’interrogazione sull’oltre”. La grandezza è nella prospettiva. La filosofia, questa disciplina oggi così evanescente, ridotta a “filosofie” di questo o di quello, o a pretese riduzioni popolaresche, deve riaffermare la propria dignità unica, che è quella del domandare radicale davanti all’evidenza del mondo e all’inquietudine che qualcosa sembra mancarvi, o eccedervi. Che sia una mancanza d’essere che va colmata, o un’eccedenza che non si riesce ad afferrare, riguadagnare la forza teoretica del domandare filosofico è il compito straordinario che può dare linfa a un pensare e a una Cultura che, altrimenti, non può essere che nozionismo o intrattenimento. 


Ciò non significa però che la filosofia, come metafisica-ontologia, debba cercare un mondo dietro al mondo o al di là del mondo. Deve essere pensiero della “totalità”, dell’acqua in cui siamo immersi ma di cui, come i pesci della famosa parabola raccontata da Foster Wallace, ci dimentichiamo. L’ontologia non è altro che la scienza dell’acqua in cui siamo immersi, dell’acqua che siamo, non un volo sognante in dimensioni altre. 


Pertanto, il richiamo a una metafisica concreta indica un percorso d’indagine estremamente fertile per dar vita a un pensiero pensante, che non sia “mera descrizione dei caratteri dell’ente”, ma che pure sia sempre collocato nel proprio tempo. Un tempo, il nostro, che si manifesta soprattutto come sistema tecnico-scientifico in cui l’attività filosofica non si può ridurre a olio che unge i pistoni della macchina, ma deve essere in grado di riflettere sull’eccedenza che rimane al termine della notte di tutte le domande scientifiche-deterministe (eccedenza ineffabile a cui Cacciari, con termine platonico, fa riferimento come Agathon, ciò che è propriamente bene). Fare filosofia è allora cercare di dire ciò “che ci è impossibile tacere per il semplice motivo che esso riguarda sostanzialmente il nostro esistere”.

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