Un Foglio internazionale

Contro Barthes

Alessandro Mantovani

La recensione del libro di Joan Fontcuberta, edito da Mimesis (206 pp., 20 euro)

Alla fine del XIX secolo, in Francia l’esecuzione capitale era ancora praticata usando la ghigliottina. Il boia, però, non agiva da solo; tre erano gli sgherri che si occupavano di tener fermo il condannato giustamente recalcitrante; di questi, il più sfortunato, era quello cui spettava il compito di immobilizzarne la testa, tenendola per i capelli. Per un curioso slittamento semantico, tale gesto venne definito dal popolo tirer le portrait, afferrare il viso, catturarlo, cioè, come farebbe un fotografo col suo otturatore, non così dissimile dalla lama della ghigliottina.

E’ proprio l’atto di “immortalare”, cioè del rendere immortale, ma anche del “consegnare alla morte”, che dona alla fotografia, secondo Joan Fontcuberta, una natura dubbia ed enigmatica, più volte al centro di riflessioni estetiche e artistiche, che l’autore tenta di disaminare a partire dalle posizioni di Roland Barthes.

Le opinioni del semiologo francese, espresse nel suo celebre testo La camera chiara, muovono da un’interpretazione semiologica dell’oggetto fotografico sulla scia di Peirce e Saussure: per Barthes la foto rappresenta soprattutto un segno “indicale”; essa cioè indica da sola qualcosa che, certamente, al momento dello scatto è stato. La fotografia, in sostanza, ci dà la certezza della verità dell’esistenza di un oggetto e del fatto che proprio tale oggetto in quel momento “è stato”.

Avvalendosi di un archivio di foto provenienti dalla cosiddetta nota roja sudamericana (l’equivalente della nostra cronaca nera) in cui i soggetti sono posizionati in maniera teatrale nell’atto di indicare qualcosa, Fontcuberta procede a una forte critica delle posizioni di Barthes. Egli si domanda quale sia, in casi come questi, il segno centrale della foto: è l’indice di chi sta indicando? E’ l’oggetto indicato? Oppure è l’intera foto? Contro gli argomenti di Barthes, Fontcuberta ragiona intorno alla natura molteplice della foto in un’accezione spuria e postmoderna: se queste fotografie sono per lo più montaggi artefatti in virtù della loro essenza cronachistica, dove risiede la loro verità? E soprattutto, com’è possibile capire cosa è stato in foto come queste? Forse, ciò che è stato, suggerisce l’autore, è sempre stato una parodia del reale ben mascherata oppure una totale finzione. Di certo sembra che la fotografia non abbia mai rappresentato qualcosa di davvero chiaro e reale, così come pare testimoniare l’avvento delle IA, che preconizzano il collasso (o l’apoteosi) della nostra cultura visuale.

 

Joan Fontcuberta
Contro Barthes
Mimesis, 206 pp., 20 euro

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