Elaborazione grafica di Enrico Cicchetti

Una Fogliata di libri

“Atto di dolore”, un rarissimo monumento ribaltato a se stessi

Michele Silenzi

Il romanzo di Antonio Gurrado assomiglia a un lungo lavoro di annullamento nel fiume infinito delle molte pagine scritte. Una confessione che diventa lentamente un atto di salvezza

Per chi scrive di libri, più che per chi li legge, dover parlare di un romanzo con poca trama e un’unica voce che parla e parla e parla è un sollievo perché si ha a che fare con un solo personaggio; gli altri non sono che sue proiezioni, marionette sul palcoscenico di un puparo che non fa che fornirci e fornirsi immagini nebulose e speculari di sé (che poi in quale altro modo uno può ritrarsi?). Mi sembra questo il caso di “Atto di dolore” di Antonio Gurrado, un raro monumento ribaltato a se stessi che in tempo di narcisismo dilagante fa una sorta di atto ossimorico: mette decenni della sua (breve) vita a scrivere un libro lungo e pieno di parole che probabilmente non leggerà nessuno per intero. Tuttavia proprio per questo attira l’attenzione e il libro appare, al culmine del narcisismo e dell’autoriferimento, come un atto kenotico, di svuotamento-abbassamento, direi persino di annullamento nel fiume infinito delle molte pagine scritte. Una confessione vera e propria, da inginocchiatoio contemporaneo, “un lavorio di sgrossatura dell’anima per diventare ciò che i cattolici normali sono da subito”.

 

Il romanzo è un romanzo su un romanzo che porta il titolo dello stesso romanzo scritto da un autore che ha lo stesso nome dell’autore del romanzo effettivamente pubblicato; il tutto in una miscela che ha una sua precisa originalità data dall’essere ben piantato nel nostro tempo, di parlare di pensieri che solo un tizio molto colto, molto intelligente e molto analitico (e che quindi magari proprio per questo non dovrebbe fare il romanziere!) poteva concepire. Il tizio potrebbe essere il suo doppio, ossia il fantomatico Giustino Sperandìo, autore di narrativa porno tipo Memoriale del letto sfatto, ma in realtà, ovviamente, non è altro che sempre e comunque l’autore stesso: un uomo sia anaffettivo sia innamorato, nel crinale in cui l’innamoramento non è altro che la copertura semantica del trasporto erotico e l’anaffettività il disinteresse per tutto ciò che non riguarda più se stessi (come quando si guarda l’altra subito dopo avere esaurito l’atto, sessuale in questo caso, non di dolore).

 

Antonio Gurrado, nel libro, è il doppio di Antonio Gurrado ma è comunque il medesimo ed è in ogni caso il doppio stesso dell’autore che è infine l’autore stesso ossia uno che sa proprio tutto su Voltaire, in particolare del rapporto tra Voltaire e gli ebrei, ed è anche ben cattolico, assegnista di ricerca a Pavia e scrive per questo stesso giornale, fa del sesso il più possibile ma sembra senza ricavarne troppo piacere, forse per questo lo fa il più possibile e con più donne possibili, come quando uno divora libri compulsivamente con quella frenesia fiduciosa e disperata che gli fa credere di trovare la risposta ai misteri proprio nella pagina successiva, e poi nella successiva e poi nella successiva… come chi recita il rosario sperando che nella ripetizione formularia e meditativa possa emergere la parola che salva, o il gemito che apre l’estasi.

 

Vi è poi il dolore, del resto si chiama atto di dolore ossia l’attimo di pentimento in quanto, si sa, la grazia sovrabbonda lì dove ha sovrabbondato il peccato, come la notte è sempre più buia prima dell’alba. Ma appunto più che dolore la disperazione tipica di quei maniacali iniziati della cultura che comprendono l’insensatezza frattale con cui si rivela (con la maiuscola, senza timori) la Cultura e la sua infinita disperante estensione che si manifesta con tanta più chiarezza quanto più uno pensa di padroneggiarla. E che perde interamente la sua capacità di salvare nel momento in cui non è “convogliabile” verso ideologie applicative, verso altre forme di salvezza che non siano la Salvezza. E allora rimane, come atto di dolore, come atto salvifico, una confessione fluviale e kenotica, come una polluzione continua fino all’augurale finale svuotamento. (E infine: la Cultura non è intrattenimento; il sesso non è un atto ricreativo; il dolore non è materia da psicoanalisti.)

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