Nanga Parbat. L'ossessione e la montagna nuda

Giorgia Mecca

La recensione di Orso Tosco, 66thand2nd, 114 pp., 15 euro

Questo è l’incantesimo che unisce chi decide che la parte più importante, la parte più veritiera della propria esistenza deve svolgersi lassù, nel regno dell’intensità assoluta. Un luogo chiaramente inadatto, inospitale, che non ci prevede e non ci vuole, e che proprio per questo regala, a chi è in grado di esplorarlo, la sensazione di essere sfuggito al gioco del mondo o, forse, di avere trascorso qualche istante all’interno del suo cuore nascosto”. La chiamano la montagna nuda, mangiauomini, la montagna del diavolo, ragione di vita. Ragione morte. E’ lei la protagonista del libro di Orso Tosco, il Nanga Parbat, 8.126 metri di roccia e ghiaccio.


In epoca hitleriana, il Nanga Parbat era la vetta del destino della nazione nazista, “la nostra”, la definivano impropriamente quelli del Terzo Reich. Bisognava conquistarla. Il primo tentativo di posare una svastica sulla cima della vetta venne fatto nel 1932 da Willy Merkl, che prima di partire scrisse al suo Führer. Lotteremo e daremo tutto per la Patria. Non bastò, forse perché, come suggerisce Tosco, la divinità che abitava quella cima “non voleva permettere a troppi scarponi di sporcare il candore delle sue nevi”. Soltanto una persona ci riuscì, da solo, camminando per quaranta ore senza mai fermarsi, senza ossigeno né attrezzatura per bivaccare: il suo nome era Hermann Buhl, che compì l’impresa nel 1953. Poco dopo la sua partenza aveva visto un uomo cadere nel vuoto nel tentativo di raggiungere la vetta. Osservando la scena di quel morto ancora in vita per pochi attimi disse: “La cosa, dunque, è così sbrigativa?”.


Il libro non è soltanto cruda montagna e resoconto delle ascensioni, è indagine sui limiti dell’uomo e sul tentativo di oltrapassarli, è il tentativo di rispondere alla domanda sul perché: perché rischiare la vita per arrampicarsi sul ghiaccio? Si tratta di amore per la libertà o di ambizione e arroganza fuori controllo? Entrambe le risposte sono vere, e forse, suggerisce l’autore, a certe altitudini, la vita è più intensa. Per Reinhold Messner il Nanga Parbat è un’ impressione sconvolgente. Quando ci si immerge dentro annota sul suo diario: “Quanto poco resta di gioia in questo scalare”. E poi, poche righe dopo. “Nessuno ci costringe, ma noi dobbiamo andare avanti”. La sensazione è che chi ha avuto la fortuna di mettere i propri scarponi sopra quella neve abbia vissuto un po’ più di chi è rimasto a pochi metri dal livello del mare.   

  

Nanga Parbat. L’ossessione e la montagna nuda
Orso Tosco
66thand2nd, 114 pp., 15 euro

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