Elaborazione grafica di Enrico Cicchetti da foto Joe Raedle/Getty Images 

una fogliata di libri

Gli amanti del gotico hanno palati sempre più raffinati

Giulia Ciarapica

Per Neri Pozza tornano in libreria i sei volumi di “Blackwater” di Michael McDowell, saga gotica con chiare sfumature horror e grande affresco di interno famigliare, che ci ricorda che i mostri siamo noi

Quando Neri Pozza divulgò la notizia dell’imminente arrivo di una saga gotica con chiare sfumature horror, la comunità di lettori esultò. Tanto entusiasmo ebbe due motivazioni: la prima è che sarebbero tornati in libreria i sei volumi di “Blackwater” di Michael McDowell (questa volta in un’edizione e con una veste grafica non solo belle ma anche agevoli) – che uscì per la prima volta in America negli anni Ottanta, un unico tomo di scarso interesse, e nel 2022 in Francia, dove riscosse un incredibile successo – e la seconda è che questa community “di genere” si sta espandendo sempre di più. Che vuol dire? Innanzitutto che gli amanti del gotico sono numerosi e raffinati, e poi che, molto probabilmente, i nostri gusti stanno virando ormai da un po’ alla parte buia del visibile. Abbiamo imparato ad accettare che il soprannaturale esiste ed è fra noi. Gli affibbiamo una marea di nomi – un po’ come si fa con le divinità classiche – proviamo a giustificarlo e cerchiamo risposte, ma con sempre maggior convinzione ci stiamo affezionando all’idea che anche quel che non ci spieghiamo, di cui abbiamo paura e che non possiamo tenere sotto controllo ha un suo valore, ed è enorme.

  
L’unica differenza è che forse la narrazione dell’invisibile, e soprattutto del buio, oggi passa ancora di più attraverso il quotidiano, la famiglia e in generale quei luoghi in cui anche se accadono cose pericolose hai l’impressione di essere al sicuro. Falso. Esattamente questo è “Blackwater” (i primi quattro volumi sono già in libreria, gli altri due usciranno  il 14 e 28 marzo) una saga che non solo indaga temi delicatissimi come il conflitto razziale nell’America degli anni Venti, ma che è anche un affresco terrificante e intricatissimo di un interno famigliare – in particolare quello dei Caskey, la famiglia più ricca di Perdido, Alabama, proprietaria di boschi e segherie.

  
I Caskey non sono chiamati soltanto a fronteggiare la furia delle acque del fiume quando si fa scuro e minaccioso, ma a loro, specie alla matriarca Mary-Love (un nome che la dice lunga sull’ossimoro che si riscontra nel carattere), spetta il compito di affrontare Elinor Dammert, la donna dai capelli rossi che emerge dalla città sommersa e di cui non si sa nulla, né il passato né le origini famigliari. 

  
“In città tutte le donne si prendevano gioco degli uomini” e dopotutto gli uomini stessi erano sollevati “che fossero le donne a gestire quella situazione tanto complessa – in qualche modo loro ci riuscivano sempre”: a Perdido funziona così, che tutte le presenze femminili, compresa Elinor quando entrerà a far parte della famiglia Caskey (la strega maliarda terrà sotto scacco il figlio di Mary-Love), si fanno carico delle ostilità. Capiscono i problemi, li risolvono, brigano, complottano, battagliano fra di loro, fanno la guerra e poi stipulano finti contratti di pace, insomma: il Male è dalla loro. Sanno riconoscerlo e gestirlo, ci entrano in confidenza e ne custodiscono i segreti, anche quelli “che muoiono”, come dice Mary-Love.

 
In questa infinita lotta tra Bene e Male, ogni cosa è sulle spalle delle donne, e l’acqua che governa tutto il romanzo con la sua furia inarrestabile non è che l’elemento che le identifica, fonte di vita e tomba mortale.

  
McDowell ci ricorda proprio questo, ancora e sempre: dovremmo guardarli in faccia, i mostri; perché i mostri siamo noi.

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