Una minima infelicità

Gaia Montanaro

La recensione del libro di Carmen Verde, Neri Pozza, 160 pp., 17 euro 

L’infelicità non è soltanto una categoria dello spirito. Se così fosse, se si trattasse di una faccenda esclusivamente interiore, chiusa nel segreto del nostro essere, nessuno riuscirebbe a vederla. No. L’infelicità è un luogo, un luogo fisico, una stanza buia nella quale scegliamo di stare. Tanto che, quando accendiamo un lume, subito lo schermiamo, perché nessuno possa spiare all’interno”. E’ prorompente e taciturna insieme l’infelicità che tiene insieme i destini di Annetta e di sua madre Sofia Vivier. Schiva e devotissima alla mamma, Anna è costretta nel corpo di una perenne bambina, piccola mentre tutto e tutti intorno a lei crescono. Sofia invece è algida, scostante, di una bellezza abbacinante e presa da diversi amori extraconiugali che persegue mentre il marito Antonio, commerciante di tessuti, si trova fuori casa. Le due donne vivono in un equilibrio precario ma avvolgente nella loro casa fino a quando l’arrivo di Clara Bigi, la nuova domestica, rompe gli schemi portando nella vita di Annetta il controllo assoluto e le durezze tipiche dell’età adulta. “Ci sono cose in noi che potrebbero essere, e tuttavia non sono, se non in rari momenti”. Annetta comincia a vivere un’esistenza riflessa, abnegata alla madre e alla sua cura, in un microcosmo claustrofobico da cui emerge in ogni piega la fatica che comporta amare. I rituali domestici diventano vuoti, gravati dalla repentina morte del padre Antonio e la ragazza ormai cresciuta evoca i ricordi di un mondo inviolabile nella sua perfezione provvisoria. “Nelle fotografie sediamo sempre vicine, io e mia madre: lei pallida, a disagio, con uno sguardo che pare scusarsi. A quei tempi pregava ancora Dio che le mie ossa si allungassero. Ma Dio non c’entrava”. A fare da contrappunto, disseminate per tutta la narrazione, ci sono tante fotografie che fermano momenti precisi, danno il sentore di un tempo che è stato. A volte, di un mondo possibile solo nelle intenzioni. 


E’ un romanzo che ha tanti vuoti, l’esordio stratificato e poetico di Carmen Verde. Come le fotografie che fermano istanti e lasciano affiorare in controluce i contorni, ciò che sta attorno e non rientra nell’immagine primaria. Così avviene nella storia di Annina e di sua madre Sofia, in cui è importante ciò che c’è ma anche ciò che manca e che la lingua suggerisce, nel suo essere sobria e per questo elegante, misurata e contenuta. Minima. Come le infelicità di Annetta e quella di Sofia, speculari e inconciliabili ma che hanno trovato il modo di coesistere e forse, misteriosamente, di tenersi compagnia.

  

Una minima infelicità
Carmen Verde
Neri Pozza, 160 pp., 17 euro 

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