Elaborazione da “L’adorazione dei pastori” di Georges de La Tour (1644), Museo del Louvre (di Enrico Cicchetti) 

una fogliata di libri

Noi e la frastornante realtà davanti ai momenti abissali

Michele Silenzi

La festa di Natale appare ogni anno più paradossale, con la fede che evapora e l’ombra dell’inverno demografico che si allunga su buona parte dell’occidente. La possibilità di una salvezza ha sempre avuto a che fare anche con qualcosa di pericoloso e radicale

È Natale, tempo di nascere. Almeno questo sarebbe il senso della festa fin dall’inizio del suo racconto che unisce i due testi che formano il libro di tutti i libri, dalla genesi all’apocalisse, principio e fine di ogni storia. La festa appare ogni anno più paradossale, con la fede che evapora e l’ombra dell’inverno demografico che si allunga su buona parte dell’occidente. 


Il Natale è una festa in uscita, la festa del lasciare andare la vita nascente, dell’aprirsi al mondo con la sua carica di perturbante speranza. La Pasqua è invece la festa della resurrezione, e prima della passione. E’ una festa che ha al centro il momento di “Mangiare Dio” come recita il titolo di una storia dell’eucarestia di Matteo Al Kalak che si apre con l’episodio dell’aereo caduto sulle Ande in cui una squadra di giovani sportivi cattolici, per sopravvivere, si cibarono dei compagni morti nello schianto. Per quello spaventoso atto trovarono forza e giustificazione nella loro fede: “Trarre la vita dai corpi degli amici defunti divenne come trarre energia spirituale dal corpo di Cristo quando prendevano la comunione”.


Tanto quello della nascita quanto quello della morte-resurrezione sono istanti radicali rispetto al reale. Aprono uno squarcio sul tessuto del quotidiano, in entrata e in uscita. Sono due opposti che si sorreggono a vicenda e così sorreggono la storia. 


Il mondo che Thomas Friedman, in un libro di successo, ha definito qualche anno fa “piatto” non può che essere estraneo a questi momenti abissali. Friedman lo definiva tale per via della globalizzazione e della tecnologia; ma il mondo diviene piatto anche per via della progressiva assimilazione di tutto in tutto, del dominio del medesimo. E in ciò che è piatto può esservi solamente una sorta di stato continuativo e mai dei nuovi inizi, delle nuove storie. I riti della nascita e della morte-resurrezione sono momenti che custodiscono dei continui nuovi inizi (evitando così, tra l’altro, totalizzanti tentazioni palingenetiche). 


La possibilità di una salvezza ha sempre avuto a che fare anche con qualcosa di pericoloso e radicale, con qualcosa che sta Là-bas, come dice il titolo del libro di Huysmans attorno a Gilles de Rais: figura ormai più mitologica che storica che ha sfiorato la santità combattendo a difesa di Giovanna d’Arco e che poi, attraverso un misticismo esasperato, è scivolato nel satanismo e nella ricerca della salvezza nel fondo della più oscura violenza. “Nell’al di là tutto si tocca: egli ha trasposto la furia della preghiera nel territorio degli angeli caduti”. E’ questo stesso tipo di abisso che ha turbato il mondo con la storia di Dahmer, la cui forza attrattiva ruota intorno al suo sterile cannibalismo, all’atto assoluto di profanazione dell’altro. Perché mangiare corpo e sangue è anche quanto vi è di più sacro.


La guerra e la pandemia recenti sono stati un vago affacciarsi su quella dimensione abissale ormai sconosciuta, un piccolo strappo sul tessuto piatto e uniforme del reale che ci rende spensierati, suscettibili e sterili, poco disposti alla speranza della nascita quanto all’angoscia autocosciente della morte, ossia i due motori di qualsiasi storia, gli estremi tra cui si dibatte ogni dramma. 


In ciò che è piatto non si può entrare, e da lì nulla può uscire. Vi si può solo scivolare sopra, estranei. Ma la vita è un processo per entrare in relazione con il mondo e insieme per distaccarvisi. E allora tanto la nascita quanto la morte-resurrezione sono lampi in cui si squarcia il tessuto dato del mondo, per andarvi a fondo (con l’ovvia possibilità del naufragio). Questa è la frastornante realtà che avvertiamo davanti a quei momenti abissali, nel bene e nel male: la riappropriazione della relazione creatrice con questi due estremi nella verità sconcertante che contiene il rito e la sua ricorsiva festività. 
 

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