Black Tulips

Andrea Frateff-Gianni

La recensione del libro di Vitaliano Trevisan, Einaudi, 232 pp., 17 euro

“Scrivere, per quanto atto privo di speranza, o forse proprio per questo, significa avere fede”, recita in maniera quasi stridula la quarta di copertina di Black Tulips, romanzo postumo di Vitaliano Trevisan, che poco dopo averlo portato a termine sarebbe morto. Era un personaggio formidabile, Trevisan, di natura puramente eclettica, che nella sua breve esistenza ha affiancato alla scrittura, in cui ha rivelato grandi capacità di esprimere le lacerazioni interiori e le sofferenze del vivere, i lavori più disparati. Nei suoi sessantun anni di vita, in ordine sparso, è stato scrittore, drammaturgo, geometra comunale, spacciatore, disegnatore di cucine, lattoniere, portiere di notte e molto altro.

 

In Black Tulips Trevisan racconta un viaggio in Nigeria, a Lagos, di un portiere di notte che a un certo punto decide di cambiare vita, prende le ferie e prova ad avviare un traffico di parti di ricambio usate per auto in Africa. Si stabilisce in uno squallido hotel nella periferia della megalopoli africana e utilizzando i suoi contatti, per lo più una serie di prostitute del Benin che aveva conosciuto e frequentato in Italia, redige un frammentato e squilibrato diario della sua esperienza. “Se Rimbaud trafficava in armi”, scrive, “io venderò pezzi di ricambio”.

  

Seguiremo così le avventure di questo “oybo”, l’uomo bianco, così visibile perché diverso da tutti, prima a Lagos e poi “nell’inferno” di Benin City, tra baraccopoli, sporcizia, notti disordinate e piatti tipici. Sullo sfondo, i flashback delle interminabili ronde notturne dell’autore in macchina nel cosiddetto “quadrilatero del degrado”, per le stazioni o lungo la strada statale per Verona, alla ricerca di compagnia per aggirare la sua costante angoscia e il suo imperante e irrisolto senso di solitudine.

 

Particolarmente interessanti risultano essere inoltre le considerazioni che l’autore fa riguardo ai premi letterari italiani e alla critica letteraria che per anni lo hanno totalmente ignorato, salvo poi riabilitarlo, come di regola, dopo la prematura scomparsa. “Di tutti gli ambienti che non fanno per me, il premio letterario è uno dei più ostici. Alla Céline, però, accettiamo tutti i premi che ci vengono graziosamente offerti, a patto che, oltre al trofeo, che di solito dimentichiamo in albergo, ci sia appunto un dignitoso assegno. Quanto all’implicito inderogabile codicillo necessario all’incasso, ovvero farsi cagare in testa, nessun problema. Dopo tanti anni di lavoro dipendente a farci cagare in testa siamo più che abituati”.  

 

Black Tulips
Vitaliano Trevisan
Einaudi, 232 pp., 17 euro

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