Le guerre perdute di Jurij Beljaev

Giulio Silvano

La recensione del libro di Pierre Sautreuil, Einaudi, 264 pp., 19,50 euro

Giovanissimo, ventunenne, il freelance francese Pierre Sautreuil parte per l’Ucraina non appena iniziano i moti separatisti organizzati dai russi negli oblast di Doneck e di Lushansk. Oggi ci sembrano luoghi conosciuti, anche troppo, da quando Putin ha cominciato un’invasione su larga scala contro il popolo ucraino, ma allora il conflitto era ancora in fondo alle pagine dei giornali. Sautreuil, mentre è lì, tra troppe birre e troppe sigarette, con la paura delle bombe, inizia a studiare e a incontrare i gruppi nazionalisti, milizie russe che appoggiano i separatisti. Ricercando il battaglione “Batman”, riconoscibile con il simbolo del pipistrello e guidato da Aleksandr Bednov, ammazzato poi nel 2015, conosce Jurij Beljaev che inizia a intervistare e che diventerà l’oggetto del libro. Beljaev, quasi sessantenne, condensa in sé il mezzo secolo di disordine russo, la sua vita diventa un modo per comprendere quanto sia stato incasinato il passaggio dall’Unione sovietica alla Federazione putiniana, passando per le  riforme di Boris Eltsin. Beljaev, detto “il Gatto”, dopo aver lavorato come poliziotto sovietico, è stato deputato nazionalista per Leningrado, poi ha fondato un’agenzia di sicurezza privata, ha fatto affari con la mafia, è diventato milionario, e dei rivali hanno provato ad ammazzarlo scaricandogli una raffica di proiettili addosso. Ha fondato un partito ultranazionalista, ha organizzato gruppi neonazisti skinhead arianisti e ha partecipato alla guerra in Bosnia, dalla parte dei serbi, uccidendo solo lui sa quante persone. Si ritrova lì, in Ucraina, braccato, solo, in fuga, e racconta a Sautreuil la sua vita, le sue scorribande, i suoi ideali, i suoi dolori. “La sua carriera è talmente eclettica che fatico a trovare una logica, un denominatore comune in grado di spiegare come si sia ritrovato coinvolto in tutto ciò che la Russia contemporanea ha prodotto di più scabroso”, scrive. Uscito nel 2018 per Grasset, ora Einaudi pubblica in Italia Le guerre perdute di Jurij Beljaev (tradotto da Silvia Manzio e Silvia Mercurio), seguendo il trend di testi che hanno a che fare con l’invasione russa. Più che reportage un diario di viaggio, un’intima relazione tra giornalista e soggetto che si sviluppa, in tutta la sua crudezza, tra tragedie storiche e complicate sedimentazioni politiche e destabilizzazioni territoriali, e che permette di aggiungere un tassello alla situazione complicata di oggi – “Inizio a pensare che per i russi entrino in gioco anche le fondamenta gettate dal trauma collettivo del crollo dell’Unione sovietica”. 

 

Le guerre perdute di Jurij Beljaev
Pierre Sautreuil
Einaudi, 264 pp., 19,50 euro

Di più su questi argomenti: