Grafica Enrico Cicchetti

Una Fogliata di libri

Il momento esatto in cui Hegel si unì per miracolo a Ulisse

Michele Silenzi

“Una zattera per Itaca” (Ponte alle Grazie) di Cesare Catà, ripercorre l’intero poema come un’ombra che si pone accanto a Odisseo compiendo di nuovo il viaggio di ritorno e riflettendo sulle sue avventure, e su ciò che significano ancora per noi

Tra tutti i testi inesauribili che hanno segnato il percorso dell’uomo attraverso la Storia, quello che rimane ancora il più simbolico nel descrivere l’inafferabilità della vicenda umana nel suo corso e di ciascuna persona nella sua singola vicenda individuale, con ascese e cadute, strade perdute e ritrovate è l’Odissea.

 
Un libro uscito di recente, “Una zattera per Itaca” (Ponte alle Grazie) di Cesare Catà, ripercorre l’intero poema come un’ombra che si pone accanto a Odisseo compiendo di nuovo il viaggio di ritorno e riflettendo sulle sue avventure, e su ciò che significano ancora per noi. 

  
Il ritorno a casa e il riconoscimento sono i temi centrali del poema
. Ed entrambi hanno a che fare con l’identità. Identità celata, perduta e ritrovata senza mai, però, essere la stessa. Ritrovare ciò che si è perduto è infatti impossibile, perché ogni perdita trasforma chi la subisce. Ciò che ritroviamo non sarà mai lo stesso. E Odisseo non è un’identità data e definita, ma un uomo dai molti ingegni e dai molti destini. Un uomo che contiene moltitudini e come tale rischia di essere Nessuno. L’oblio di sé, ossia la possibilità di annullare la coscienza e divenire appunto nessuno, ricorre spesso nell’Odissea come il pericolo tremendo patito dall’eroe: presso i lotofagi, ad esempio, che si nutrono di un frutto che induce una narcosi prolungata fatta di dimenticanza. Dolcezza dell’oblio e della deriva quando troppa è la stanchezza e sfuggente ogni appartenenza, quando non sembra esserci più terra ma solamente mare, ossia una superficie sempre identica eppure eternamente cangiante. 

  
Eterna come la vita degli immortali che vorrebbe donare a Odisseo Calipso, la dea che lo trattiene sulla propria isola per sette anni. Immortalità che l’eroe rifiuta in quanto il ritorno è il suo destino e il ritorno è affare solo dei mortali, degli uomini, visto che nell’immortalità non vi è luogo a cui appartenere, e quindi a cui tornare, in quanto non vi è tempo. Come Calipso vuole negare l’identità di Odisseo rendendolo immortale, Circe pensa inizialmente di fare altrettanto rendendolo una bestia. Due modi speculari per negarlo come uomo, per renderlo un nessuno. 

 
Tuttavia sarà Circe che metterà Odisseo di fronte ai propri fantasmi, aprendogli la lunga strada per il ritorno a Itaca, un ritorno in cui rivedrà la sua isola come uno straniero che giunge alla sua stessa porta. Ma prima dovrà scendere nell’Ade. Qui Odisseo incontrerà Tiresia, che gli vaticinerà il difficile ritorno, incontrerà Achille penoso che rimpiange la vita e soprattutto incontrerà sua madre che non sapeva fosse morta. E’ questo il momento assolutamente tragico, la manifestazione dell’assenza di chi l’ha generato, di chi custodiva da sempre la sua identità, ed è allo stesso tempo il principio della trasformazione per trovarne una nuova, per poter ripartire e affrontare il ritorno. Nell’Ade, Odisseo soggiorna presso la morte, ovvero presso ciò che è puramente negativo. Ma che è anche la realtà dell’assenza e del lutto in cui andare a ricercare una nuova identità, ossia una declinazione più vera di se stessi. Perché l’assenza vuole essere riempita e per farlo dobbiamo spostarci, rimuoverci, da ciò che eravamo.

 
In quella che è l’altra grande Odissea del pensiero umano, la narrazione del viaggio della coscienza per giungere a se stessa, a riconoscersi, ossia la “Fenomenologia dello Spirito”, Hegel racconta che la vita dello Spirito non è quella che si riempie d’orrore davanti alla morte “ma è quella vita che sopporta la morte e si mantiene in essa. Lo Spirito conquista la propria verità solo a condizione di ritrovare se stesso nella disgregazione assoluta”. E tale permanenza nei pressi di quanto è più negativo è “il potere magico che converte il negativo nell’essere”. Il momento in cui il tragico dell’esistenza umana e la logica dell’uomo dal multiforme ingegno si uniscono miracolosamente.