Dino Buzzati

UNA FOGLIATA DI LIBRI

Buzzati e Mondadori. Il rapporto misterioso tra scrittore ed editore

Giulia Ciarapica

Angelo Colombo ha curato “Il romanzo, ‘la stessa mia vita’. Carteggio editoriale Buzzati-Mondadori (1940-1972)” 

“Non è adatta per scrivere libri”, dissero a Rowling dopo che dieci editori rifiutarono “Harry Potter”; “Non siamo interessati alla fantascienza distopica, non vende”, dissero allo Stephen King di “Carrie”; “Pregevole e commercialmente valido” ma comunque una “volgarizzazione di Proust”, fu detto de “Il Gattopardo” di Tomasi Di Lampedusa (che vide la luce presso Feltrinelli soltanto dopo la morte dell’autore).

Di questi grandi rifiuti si è spesso parlato, li ricordiamo con ironia e un sottile divertimento, guardandoci indietro e immaginando come sarebbero andate le cose se non fossero stati pubblicati. Ma quanto sappiamo di ciò che si nasconde nel rapporto che lega uno scrittore al suo editore? Quanto sappiamo delle illusioni e soprattutto di quelle che Angelo Colombo definisce “delusioni d’autore” nel volume “Il romanzo, ‘la stessa mia vita’. Carteggio editoriale Buzzati-Mondadori (1940-1972)” (Fondazione Mondadori), da lui stesso curato? Non so perché, ma quando ho iniziato a sfogliarlo mi aspettavo di trovare un Dino Buzzati più timido, forse più mite, o magari che, al netto della natura schiva, si rivelasse in certe occasioni un po’ meno polemico. Con piacere, invece, mi accorgo che non è stato sempre così. La “verve d’autore” venne fuori a più riprese e con una certa capricciosità di modi – assai gustosa.

Una delle vicende editoriali che ha più messo alla prova il rapporto tra Buzzati e Mondadori è quella intorno a “Il grande ritratto”, stampato nel 1960 dopo che era comparso a puntate in rivista. Di qualche tempo prima era la questione de “L’uomo che andrà in America”, la commedia su cui il bellunese nutriva una certa fiducia ma che pure andò subito incontro a lungaggini contrattuali, perplessità (in seguito anche da parte di Buzzati stesso) e disacaticordi. Crovi e Vittorini ne diedero fin da subito un giudizio negativo: “I suoi pregi sono unicamente nella secchezza del dialogo poiché i personaggi non hanno vita e la trama è frammista di espedienti tecnici piuttosto risaputi”.

Torniamo al Grande Ritratto. Quando fece la sua comparsa e l’autore ne vide le prime copie, la reazione fu entusiasta, ma nei mesi successivi qualcosa andò storto. La critica fece intendere che quell’opera, cui Buzzati guardava come qualcosa d’interessante, era solo in parte riuscita, e perciò nel febbraio del 1961 Buzzati vestì i panni dell’autore insoddisfatto e scrisse una lettera “di mugugno” al caro Alberto Mondadori, divisa per punti: “ritardo nella ristampa del ‘Grande ritratto’; “scarso lancio del libro” (“Non che io ritenga il ‘Grande Ritratto’ un grande capolavoro, ma se non altro perché è un libro di lettura divertente contrariamente alla quasi totalità dei libri di narrativa italiana, poteva, mi sembra, essere lanciato da voi con maggiore impegno”); “disinteresse dell’editore verso di me” (“Un editore non deve limitarsi a stampare, a vendere libri, ma deve ‘curare’ i suoi autori, tener loro dietro, pungolarli, incoraggiarli”); “assurdità del contratto”.

Le lamentele buzzatiane, a ben vedere, tanto somigliano a quelle che oggi la maggior parte degli autori appioppa a qualunque editore con cui abbia a che fare, e non sono altro che la dimostrazione che i tempi non cambiano mai. Possono peggiorare, forse, ma soprattutto nell’editoria niente è mai così distante da sé stesso e dal luogo d’origine, dove tutto somiglia a tutto e il tempo è solo una congettura.

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