Illustrazione di Giovanni Battistuzzi

Una fogliata di libri

Quando lo scrittore può rivelarsi banale e perfino dogmatico

Marco Archetti

Scrivere romanzi non significa emettere intelligenza ma produrre finzione realizzata bene: le due cose sono molto diverse. Poi per fortuna ci sono quelli bravi

Mozione Bartleby, ovvero l’importanza di dire no, di farlo quando è opportuno a patto di saperlo. Ma partiamo dall’inizio: succede spesso di imbattersi in ragionamenti, articoli, long form, tweet, post, commenti, brandelli di intervista, interviste a sbrindellati di fama che, con disinvolta sentenziosità e implicita autocelebrazione, bacchettano asprigni lo scrittore che si dà all’opinionismo sui giornali. E lo fanno con ragionamenti validissimi, condivisibilissimi, ragionevolissimi, il cui limite è sempre la somma di tutti questi pregi. La fotografia è sempre a fuoco e ritrae alla perfezione, con un grano di sarcasmo, la condizione di tutti coloro che, spazi gentilmente offerti dai giornali, si trasformano, da scrittori o professori universitari – per umana vanità, culto di se stessi e ingenuità aspirazionali – in opinionisti eccedenti e mai abbastanza riluttanti, discettando con multidisciplinare scioltezza di cucina vegana, cambio climatico, ferragosto, omicidi efferati, vittorie di scudetti, risultati elettorali in Slovenia, primo maggio, disoccupazione, denatalità, mammografie, organi interni, organi istituzionali, istituzioni al tramonto, albe del secolo, spirito del tempo – ma cos’è, poi, cos’è che lo incarna meglio, ’sto spirito del tempo, se non questo salto con l’asta onniopinante? Cosa può avere più forza meta-rappresentativa di questo saltellar da vispe Terese nei prati fioriti della pubblicistica tentando goffamente di acchiappare le verdi farfallette dell’occorrenza quotidiana, apponendo la firma sotto pezzulli pensosissimi e, proprio per questo, ancor più vanesi, sempre paonazzi della smania di sembrare intelligenti? Ricordiamo tutti, malignamente, gli inciampi altrui, i paragrafi imbarazzanti, le teorie moralistiche, un signoramìa qua, un’ovvietà là, del trito in chiosa, e molte accigliate stupidaggini d’autore. Mai come in questo momento, poi, e non solo sui giornali, è facile incappare nella stupidità, nel dilettantismo, nella cecità degli altri – non ci si riferisce, qui, a quei casi tra umorismo e tragedia tipo i reportage di Di Battista o le prolusioni televisive di certe nullità di rango in cui sono lampanti la cattiva fede, il cinismo orrendo, il meretricio ideologico.

 

Ma è utile ricordarsi che, al di fuori del terreno del romanzo, uno scrittore che si allontana da sé stesso può essere un uomo banale, pressapochista o dogmatico. E che scrivere romanzi non significa emettere intelligenza ma produrre finzione realizzata bene: le due cose sono molto diverse. Poi per fortuna ci sono quelli bravi. Quelli che accettano l’inevitabile corpo a corpo col quotidiano senza trascinarsi su terreni impervi. Quelli che restano al proprio posto, cioè là dove uno scrittore ha riferimenti per leggere la realtà senza far dilagare l’io, mentre numerosi sono gli articoli che ne sono ostruiti (un esempio per farsi degli amici? Un reportage di Carrère dalla Russia a guerra appena iniziata, in cui a Carrère verrebbe voglia, come spesso, di dire quel che Monicelli disse a Moretti).

 

Un ottimo manuale di come si può fare, sono gli articoli di Dino Buzzati, che no, non fanno certo parte della sua produzione più interessante come ogni tanto qualcuno afferma, ma sì, sono gli articoli più interessanti di uno scrittore che si possano leggere. Immancabili anche quelli di Fruttero e Lucentini con la saga del Cretino, opera completa, mille pagine di intelligenza – la domanda è: come diavolo facevano?

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