grafica di Giovanni Battistuzzi 

Una fogliata di libri

I postulanti seccatori quando ancora non c'erano i social

Matteo Marchesini 

In libreria, per Aragno, “Misteri d’Italia”, con un profilo di Praz firmato da Giuseppe Balducci

La figura dell’aspirante letterato che vuole udienza a tutti i costi e annoia i presunti colleghi ha una lunga storia, che incrocia tra gli altri Orazio, Molière e Leopardi. Esiste però una variante moderna più ridicola: lo studioso seccatore, che si rivolge a un luminare del suo campo lusingandolo ma al tempo stesso pretendendo un risarcimento per lo scarso successo professionale, e che poi, se non aiutato, aggredisce il suo interlocutore. Un tipo immortale, sotto questo aspetto, è quello descritto da Kundera in “Amori ridicoli”. Più innocuo, ma perfettamente rappresentativo della specie, il tale che si presenta per lettera a Mario Praz nel 1958. La vicenda occupa il primo di tre elzeviri pubblicati dal grande anglista a fine anni 50 sul Borghese, e ora raccolti da Aragno sotto il titolo “Misteri d’Italia” insieme a un profilo di Praz firmato da Giuseppe Balducci.

 

Un certo Antonio da Battipaglia scrive dunque all’“Illustre Maestro”, affastella citazioni fuori luogo, e infine arriva al punto: a un concorso d’inglese si è trovato davanti una traccia “enigmatica, e peggio, polisensa”, che comprendeva una frase la cui traduzione lo lascia dubbioso. Praz scioglie il dubbio, bacchetta Antonio per un errore, e senza né infierire né compatire riporta l’episodio alle giuste dimensioni. Ma ecco che allora arriva da Antonio una risposta di tutt’altro tenore: l’Illustre Maestro, degradato a un “Egregio Signore”, vi è accusato di scrittura scialba, e addirittura di un indebito “fiero cipiglio”. Poi il postulante-accusatore cita i pareri diversi di altri autorevoli professori. Ora che ci pensa, conclude Antonio, quel giudizio così insoddisfacente è coerente col sostegno che Praz ha assegnato a lavori riconosciuti da tutti deboli e incerti.

 

Negli ultimi anni moltissimi letterati, compreso chi scrive, sono stati coinvolti in scene simili, che però sui social si svolgono con una rapidità da gag: enfatica lusinga, mancato ottenimento dell’attenzione richiesta, e quindi stroncatura retrospettiva di colui o colei a cui ci si era rivolti fiduciosamente, ma in realtà con un aggressivo presupposto rivendicatorio. Non tutti però siamo Praz, e non solo per la statura intellettuale, ma anche per l’uso che quel superbo amante di stravaganze e aberrazioni faceva di questi carteggi, collezionati in un archivio su cui aveva posto l’etichetta “Mad Letters”.

 

In un altro elzeviro, l’autore registra le scene non meno stravaganti di quella Roma nella quale si è scavato il suo sontuoso rifugio, restituendo le voci sciocche e concitate, servili e minacciose che salgono dalle vie della città. Incontriamo romani che parlano sempre di soldi, che gridano ai giardini le loro ricette, che nei luoghi religiosi si deliziano solo alle storie sadiche di persecuzioni, e che agli spettacoli, davvero con fiero cipiglio, custodiscono i posti di autorità che mai compariranno.

 

Più avanti, sempre citando i suoi diletti inglesi, l’elzevirista descrive poi un paesaggio centroitaliano “talmente umanizzato, da poterlo dire addirittura infestato da antropotossine”: ormai alle fonti del Clitumno i bimbi non badano alle pecore, ma recitano Carducci ai turisti. In compenso, un presente barbaro ricopre il passato di Villa Adriana, il cui Canopo restaurato sembra “lo scenario d’un film di Cecil De Mille”.

 

Perfino in queste esili prove ritroviamo insomma il Praz conoscitore e divagante, l’antiquario e il rabdomante del morbid che si diverte a mescolare i tempi e i livelli culturali come se il mondo fosse un museo caotico e mostruoso. E la sua prosa, che più che trarre conclusioni accosta e colleziona i frammenti del museo, ci fa pensare a lui come al Benjamin di un paese scettico, sensuale, analogico, refrattario agli schemi metafisici come alle rivoluzioni; un paese certo molto più simile alla Roma della maturità di Praz che alla Firenze “inglese” della sua giovinezza.

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