Il mio passato è un fiume malvagio

Andrea Frateff-Gianni

La recensiopne del libro di William S. Burroughs, Adelphi, 358 pp., 24 euro

Aosservare la foto in copertina dell’Adelphi intitolato Il mio passato è un cuore malvagio, che raccoglie le lettere di William Burroughs dal 1946 al 1973, non si direbbe mai che il tizio che posa davanti a una sfinge egizia al Museum of Art di New York, in spezzato di gabardina a minuscoli quadretti e mani in tasca, con l’espressione a metà tra un turista di passaggio e un impiegato di Midtown che è lì per caso, sia uno dei più visionari scrittori della storia della letteratura e contemporaneamente un pazzo scriteriato tossico fuori di testa. Questo era, nel bene e nel male, William Burroughs, uno che, tanto per intenderci, aveva ucciso la moglie giocando a Guglielmo Tell una notte a Città del Messico, lui a rota d’eroina, lei strafatta d’anfetamina. E che, allo stesso tempo, è considerato il padre fondatore della cosiddetta beat generation e nume tutelare della controcultura in generale. Le lettere pubblicate da Adelphi, quasi tutte indirizzate ad Allen Ginsberg e Jack Kerouac, sono uno straordinario documento per capire chi veramente fosse questo controverso personaggio di cui tutti parlano ma che, probabilmente, in pochi hanno davvero letto. Spiamo così, come dal buco della serratura, attraverso questa sorta di autobiografia involontaria, la vita quotidiana di Burroughs per quasi trent’anni, mentre si muove ossessivamente avanti e indietro fra Tangeri, Parigi, Venezia e Londra.

 

Assistiamo pagina dopo pagina, lettera dopo lettera, anno dopo anno, a una serie incommensurabile di eccessi, devianze e perversioni, mischiate ad affilatissime paranoie, a idee formidabili, progetti allucinati ed esperimenti letterari ai limiti della follia. “Dopo un anno di sperimentazione intensiva sto imparando a usare il metodo cut-up. Non c’è motivo di conservare materiale da cut-up che non serve al progetto. Spesso da una pagina ritagliata uso solo una o due frasi”, scrive il 5 settembre del 1960 ad Allen Ginsberg, svelandogli finalmente  di aver compreso la rivoluzionaria tecnica di scrittura su cui stava lavorando e grazie alla quale riuscirà a comporre quello che può essere considerato il suo capolavoro: Pasto Nudo. Cose così, e altre chicche tipo le lettere d’insulti a Truman Capote, “vali meno dell’ultimo redattore del New Yorker” o appassionati carteggi con il profeta della rivoluzione psichedelica Timothy Leary, che però gli verrà presto a noia. Un libro che andrebbe letto in coppia con Io sono Burroughs, monumentale biografia scritta da Barry Miles ed edita, qualche anno fa, dal Saggiatore. Francamente imperdibile.  

  

Il mio passato è un fiume malvagio

William S. Burroughs,

Adelphi, 358 pp., 24 euro

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