Le nove stanze del cuore

Francesca Pellas

La recensione del libro di Janice Pariat, Bompiani, 176 pp., 16 euro

Come sarebbe il racconto della vita di una donna se a farlo non fosse lei, ma gli uomini che ha amato? Sarebbe, forse, un insieme di frammenti molto vividi, perché ognuno di loro, di lei, avrebbe visto un pezzetto, adorandone determinati stati di grazia e detestando alcune sue caratteristiche, e chissà quali. Non siamo gli stessi per tutti, e nel rivelare la nostra natura più intima possiamo svelarne più d’una, a seconda del momento in cui ci troviamo e della persona a cui consentiamo l’accesso. E’ la premessa su cui si basa e si snoda Le nove stanze del cuore di Janice Pariat, appena uscito per Bompiani nella bella traduzione Marina Morpurgo. A Bompiani va il merito di aver reso disponibile in italiano questa favolosa scrittrice indiana (finalmente, era ora), ormai al suo secondo romanzo, arrivato dopo Seahorse (“Il cavalluccio marino”), molta poesia, e la raccolta di racconti Boats on Land (“Barche sulla terraferma”), che parlava di miti, cascate, spiriti, alberi e persone ferite. In Le nove stanze del cuore, Pariat ci fa conoscere una donna attraverso le voci di nove persone che l’hanno amata, otto uomini e una donna.

 

L’intero libro è alla seconda persona singolare, un lungo tu, come se tutti loro si rivolgessero in qualche modo a lei. Un riferimento italiano che viene in mente è Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti (minimum fax): anche quello era un romanzo composto da una serie di racconti in cui il lettore imparava a conoscere Sofia, la protagonista, attraverso i frammenti visti dalle persone che avevano fatto parte della sua vita (la zia, il padre, gli amori). C’era anche un racconto, uno solo però, in seconda persona singolare. In entrambi i casi, il risultato è qualcosa di magico. Pariat non fornisce dettagli geografici precisi, non si nominano mai l’India, l’Inghilterra, l’Italia: si intuiscono e basta. Andiamo in una città con il fiume, in una senza fiume, in una città sul mare, nella città d’infanzia. Quei luoghi potrebbero essere ovunque, e la protagonista potrebbe essere noi. Le sue delusioni, la sua speranza, sono così vivi da prendere vita nella testa di chi la legge raccontata dagli altri, e pensare che non sappiamo nemmeno come si chiama. Eppure quante volte siamo stati lei? Incastrati nell’amore sbagliato, o euforici nell’amore che credevamo giusto, quando l’altro era capace di vedere nei nostri occhi un’aspettativa che lo metteva in allarme. Perché questo siamo, noi umani: cuori che aspettano di aprirsi. E’ facile amare, dice Pariat citando Anaïs Nin. Ci troviamo forse sulla Terra per fare altro? E le stanze del nostro, di cuore, quante sono, quante saranno? 
  
Le nove stanze del cuore
Janice Pariat
Bompiani, 176 pp., 16 euro

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