una fogliata di libri

La fontana rotta

Giuseppe Fantasia

La recensione del libro di Thomas Belmonte, Einaudi, 192 pp., 18,50 euro

Immaginate un antropologo straniero che giunga negli anni Settanta a Napoli. La città lo stordisce, lo sconvolge e lo incanta tanto da decidere di restarvi un anno intero per studiarla e studiarne chi la abita: uomini, donne e bambini che dalle finestre o dai balconi delle loro case lo salutano o lo chiamano, gridando, “L’americano!”, perché lui – Thomas Belmonte (1946-1995) – proveniva proprio da quel paese lontano. Quel che ne è venuto fuori è questo libro uscito negli Stati Uniti nel 1979, cinque anni dopo quell’esperienza singolare e per lui indimenticabile, grande successo editoriale candidato al Pulitzer, ma da noi pubblicato solo successivamente.

  

Questa che leggete è una nuova edizione Einaudi tradotta da Daniele Petruccioli in cui troverete un’appendice che è il resoconto del suo viaggio di ritorno nella città partenopea nel 1983, sconvolta dal terremoto. Nel frattempo, Belmonte era diventato docente alla  Hofstra University  di  New York  volendo continuare la sua ricerca su Napoli. “Ho capito i napoletani del basso ceto vivendo con loro – scrive l’autore di origine italiana (i suoi nonni erano di Bari) – e così facendo sono arrivato lentamente a conoscerli. Quanto più si fidavano di me, tanto più mi permettevano di conoscerli meglio”.

 

Abitava in un appartamento in affitto a palazzo  Amendola, edificio cinquecentesco incastonato tra i vicoli scoscesi che conducono in  via Sedile di Porto, un luogo che nel libro è chiamato “Fontana del Re”. Il suo approccio non fu quello di andare a cercare informazioni in modo strutturato, metodico, ma quello di stare attento e di aspettarle, mentre si muoveva in un ambiente sociale “fondamentalmente estraneo”. L’osservazione partecipante è stata un mezzo – spiega – “per raggiungere un fine, ma anche un fine in sé stessa”, una vera e propria “immersione nell’alterità, un prolungato ascolto, un’alterazione del sé”. La famiglia di Stefano, di professione robivecchi, con i suoi sei figli e la moglie Elena – la cui centralità, in quella famiglia, era inversamente proporzionale alla degradazione degli uomini – fu fondamentale. 

 
Lo invitavano la sera a cena, dopo il lavoro, o ai pranzi della domenica. Grazie a loro iniziò la sua indagine e capì, decifrando forme di vita determinate dalla povertà in un contesto permeato da instabilità e insufficienza di capitali. Erano persone “che lottavano per sopravvivere” ma, soprattutto, “erano capaci di superare le difficoltà difendendo la loro umanità”. Segni evidenti della vitalità di una cultura che  si fa sinonimo e simbolo di una grande ricchezza umana.  

   

La fontana rotta
Thomas Belmonte
Einaudi, 192 pp., 18,50 euro

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