Elaborazione grafica di Enrico Cicchetti 

Il libro che manca potrebbe intitolarsi “Igiene del recensore”

Matteo Marchesini

Salvo gli scambi di favori, oggi le recensioni sono ininfluenti. Bisogna scegliere cosa non leggere, ma al tempo stesso restare abbastanza ricettivi da lasciarsi sorprendere

Anziché parlare di un libro che esiste, vorrei qui descriverne uno che manca. Potrebbe intitolarsi “Igiene del recensore”. Salvo gli scambi di favori, oggi le recensioni sono in ogni senso quasi gratuite e ininfluenti. Perciò, se non si hanno obblighi redazionali o un’ossessione simile a una vocazione, nessun “percorso motivazionale” può fornire l’energia sufficiente a produrle.

  

Ma bisogna distinguere i recensori. C’è il tipo che è appena un mediatore tra uffici stampa e stampa, e si adatta a segnalare sui giornali i libri e gli autori ben lanciati; e c’è il recensore-critico, che con i suoi trafiletti costruisce un discorso coerente a puntate. Il recensore-critico dovrebbe affrontare il caso particolare inserendolo in un contesto, e per farlo bisogna avere il polso della situazione. Ma è una metafora sbagliata: la situazione non ha polsi, o ne ha ormai un numero talmente grande che è impossibile distinguerne i battiti.

  

I romanzi, echi di un pervasivo buon senso editoriale o reazioni meccaniche a questo buon senso, si somigliano così tanto che dare spazio a uno o due significa fare un torto arbitrario agli altri; quanto alla poesia, cercare le perle nella grigia distesa di cronachismi e orfismi è un lavoro altrettanto ingrato. I saggi fanno più compagnia, col loro misto di idee e aneddoti che invita a una risposta dello stesso taglio. In ogni caso, senza fingere di dominare il panorama, il critico-recensore ha il compito di tracciare al suo interno una prospettiva credibile. Deve scegliere cosa non leggere, ma al tempo stesso restare abbastanza ricettivo da lasciarsi sorprendere.

 

È un esercizio tutt’altro che semplice. Il tempo è sempre poco; eppure se non lo si spreca un po’, fingendosi lettori che non devono rendicontare le proprie letture, a lungo andare ci si acceca, e si finisce per giudicare i libri solo in base alle possibilità di commento che offrono. Bisogna poi guardarsi da alcune tentazioni. Stare attenti, ad esempio, a non trasformarsi nel primo tipo di recensore. Non insistere su un volume insignificante solo perché è il pretesto per parlare di un argomento che sta a cuore (“dev’essere bello il libro che hai recensito, oggi lo compro”, dice allora qualche amico, e il recensore non sa come dissuaderlo senza tradirsi). Se si descrive un’opera simpatica ma minore, evitare gli aggettivi che si userebbero per un’opera maggiore, cioè evitare di togliere a questi aggettivi il loro senso. Non esaltare troppo gli autori sconosciuti, se appena decenti, solo perché sono sconosciuti, e quindi si prestano a essere contrapposti a coloro che sembrano ingiustamente affermati: chiedersi sempre, insomma, se non si sta piuttosto esaltando la propria scoperta, e se per questo si accettano in quegli autori cose che si censurerebbero nel caso si trattasse dei “soliti noti”. “Li lancio da giovani, e quando sono in alto li impallino”, mi disse una volta un critico con un fremito di narcisismo nauseante. Ecco: non diventare come lui. Rifiutare le maschere funzionali al gioco mediatico delle parti, anche quella dello Stroncatore; ovvero, non sostituire uno stile con un birignao. Questa rinuncia ha un costo, dato che i giornali il birignao quasi lo esigono. Evitarlo significa restare ai margini: ma vale la pena.

   

Infine, tra la telefonata di una suadente ragazza-ufficio stampa che sussurra “solo tu puoi capire il nostro libro in uscita” e la fretta di trovare tra le novità lo spunto per una rubrica, ci si ricordi ogni tanto di fermarsi dove si è, di stendere un mentale tappetino, d’immaginare che non si scriverà mai più niente, e di sciogliere lo spirito dalla catena editoriale. Allora, dopo qualche secondo, può capitare di concepire un pezzo come questo.

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