grafica di Enrico Cicchetti 

Il poeta dimenticato che cantò la tradizione per proteggerla

Daniele Mencarelli

Il volume "Poesie, 1905-1914" (La nave di Teseo) permette di leggere il Marino Moretti migliore

L’esperienza della poesia si radica dentro orizzonti precisi.  Lo sguardo del poeta cresce traendo la sua grana dagli ingredienti della terra che lo ospita, come una varietà speciale, e pregiata, di un frutto della natura che acquisisce determinate caratteristiche grazie al luogo in cui è cresciuto.

 
Questo sigillo tra poeti e luoghi è cosa nota. 


Un esempio. Trieste. Livorno. Recanati. Le prime tre località venute in mente. Non c’è neanche bisogno di nominare i poeti che si materializzano nella mente al sentire evocare questi nomi. Si potrebbe organizzare un nuovo Tour, da nord a sud dello Stivale, o viceversa. Una immersione nelle terre meravigliose della poesia italiana, e di rovescio, un bagno nelle meraviglie storiche e naturalistiche del nostro paese che hanno ispirato le parole di tanti poeti.


Cesenatico vuol dire Marino Moretti.


In un secolo elevato a somma della nostra poesia, una di quelle voci troppo spesso dimenticate, omesse. Una sorte senz’altro causata dall’etichetta di crepuscolare che gli affibbiarono e che dopo tanto tempo è rimasta, come un tatuaggio di medio valore, molto distante dalle eccellenze acclamate di quegli anni. 


Il volume “Poesie, 1905-1914”, La nave di Teseo, permette di leggere il Moretti migliore, quello che poi passerà alla prosa, soprattutto offre la possibilità di valutare la sua voce al netto dei canoni che in qualche modo influenzarono tanti giudizi che lo riguardano. A partire dal temperamento, tutt’altro che dimesso, alla voce limpida, capace di cogliere nei movimenti feriali dell’umana esistenza insospettabili avvenimenti, Moretti è semmai un realista sui generis, attento al progressivo imbarbarimento delle cose, al grigiore che via via si andava diffondendo come contrappasso della modernità.  Dunque, una malinconia storica e non soggettiva, e la percezione di un rovesciamento: gli oggetti a comandare sui luoghi e le persone. Gli oggetti del mercato, massificati, stereotipati.


In questo senso, Moretti coglie profeticamente quello che accadrà decenni e decenni dopo. Le buone cose di pessimo gusto che riempiono le nostre vite, che ci comandano attraverso le seduzioni del mercato, che rendono i nostri interni domestici tutti uguali, uniformati. 


Anche nella sua Romagna, nella magnificenza della sua Cesenatico, Moretti percepì quello che a tutti gli effetti è un attacco. Non molto diversamente da Pasolini, e da tanti altri. L’unicità dei luoghi e delle tradizioni, anche linguistiche, che vengono aggredite dalla rivoluzione del progresso.  Un’aggressione silenziosa, quasi invisibile, ma incessante. Ecco allora, quasi per reazione, farsi cantore di una fanciullezza mitizzata, di amori adolescenti, di figure che rimandano a quella fase della vita dove tutto è possibile e benigno: la giovinezza. Una giovinezza del cuore tutto fuorché triste. 


Moretti canta la tradizione perché sente che non ha altro modo per proteggerla. Cesenatico, nella sua vita, fu il luogo da cui partire e dove ritornare. L’unico punto fisso di un peregrinare fatto di desideri da inseguire e progetti da realizzare, la prima volta che se ne andò fu per tentare la carriera d’attore.  Anche la sua casa, ora museo, Casa Moretti, porta i segni di tutte le vite che ha vissuto, e dimostra concretamente cosa abbia tentato di fare con la sua poesia. 


Ergere una parola che potesse difendere dal tempo e dai mutamenti, che potesse conservare inalterati in eterno i propri luoghi. Che per un poeta sono sempre di terra e d’amore.

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