Una filosofia in esilio. Vita e pensiero di Leo Strauss

Giuseppe Perconte Licatese

La recensione del libro di Carlo Altini, Carocci, 366 pp., 32 euro

Leo Strauss (1899-1973) nasce a Kirchhain, nei dintorni di Marburgo, da una famiglia di ebrei osservanti che lo manda a studiare al liceo classico. L’incontro con i greci e i latini e con Nietzsche è decisivo: la filosofia come ricerca umana della verità sarà la sua strada, ma continuerà a coltivare un rapporto profondo e riverente con la religione ebraica. Negli anni Venti è a Berlino, dove divide il suo tempo fra gli studi e l’impegno nel movimento sionista. Il sionismo è una “illusione eroica”, prova che gli ebrei hanno la tempra morale per cercare il proprio destino invece che farsi assorbire dall’indistinta civilizzazione borghese. Ma l’ebraismo ortodosso non può che considerare “blasfemo il concetto di una soluzione umana al problema ebraico”.

 

Strauss benedirà il frutto di questa vitale blasfemia, Israele, come avamposto del mondo occidentale, anche se non vorrà mai appartenervi politicamente. Alla fine del 1932 una tempestiva borsa di studio lo porta via dalla Germania che sta per cadere nelle mani dei nazisti: Parigi, poi Londra per studiare Hobbes, e infine gli Stati Uniti. Qui Strauss e la moglie Miriam saranno raggiunti dalla notizia della distruzione della comunità ebraica di Kirchhain. Nel 1944 si ricongiunge a loro la nipote, Jenny, rimasta orfana e adottata. All’università di Chicago Strauss pubblicherà i lavori sulla filosofia ebraica e islamica medievale, sui classici greci e sulla filosofia politica moderna cui deve la sua autorità, e insegna con grande dedizione.

 

È assai difficile dare credito alle storie che lo vogliono intento a farsi adepti da iniziare a un sapere esoterico e machiavellico per influenzare svolte politiche reazionarie. Il suo era il magnetismo mite di un professore che voleva portare i più dotati studenti a dialogare con i classici del pensiero occidentale, per affrontare la domanda intorno alla “buona vita”. Assai refrattario alla politica accademica, dopo anni di difficili rapporti con i colleghi sarà giubilato abbastanza freddamente nel 1967, anche perché contestava l’alleanza tra positivismo delle scienze sociali e tecnocrazia con cui gli accademici partecipavano alla grande “rivoluzione organizzativa della nostra epoca”.

 

Di fronte alla “tetra prospettiva” di una nuova, comtiana età organica implicita in questo progetto, Strauss si chiedeva “se ebraismo e cristianesimo siano dalla parte della grande organizzazione o dalla parte degli anarchici. Credo che ebrei e cristiani dovrebbero scegliere anarchismo e secessione”.

 

Una filosofia in esilio. Vita e pensiero di Leo Strauss
Carlo Altini
Carocci, 366 pp., 32 euro

 

 

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