Elaborazione grafica di Enrico Cicchetti

Una fogliata di libri

Bisogna leggere René Girard per capire Fëdor Dostoevskij

Matteo Marchesini

A duecento anni dalla nascita, Bompiani ripubblica “Menzogna romantica e verità romanzesca”, il saggio che più di tutti aiuta comprendere lo scrittore russo, i suoi canoni narrativi e i personaggi

A duecento anni dalla nascita di Dostoevskij, Bompiani ripubblica il saggio forse più utile per capirlo, “Menzogna romantica e verità romanzesca” di René Girard. Attraverso una geniale analisi del canone narrativo, Girard descrive i modi in cui gli uomini moderni abbandonano la fede nel trascendente, e proiettano sui propri simili il loro bisogno di modelli. Mentre sviluppano uno smisurato orgoglio, illudendosi di essere liberi, questi uomini sviluppano anche una smisurata idolatria per figure che il livellamento sociale trasforma in temibili rivali; più imitano gli altri, più freneticamente e vanamente provano a distinguersi. Così, quando l’imitazione perversa giunge al parossismo, diventano un’orda uniforme di posseduti, sprofondando in una spirale sadomasochistica e suicida. È quello che succede appunto ai posseduti di Dostoevskij, “I demoni”.

 

In questa summa dell’opera dostoevskiana, un’intera cittadina viene contagiata dal fantasma della rivoluzione. A materializzarlo è l’oratoria insinuante di Piotr Verchovenskij, ispirato a Necaev. Piotr si dice emissario di una società segreta che forse non esiste. Gettando sulla cittadina la sua rete di parole ipnotizza governatori, dame aristocratiche e intellettuali piccolo-borghesi, che lega a sé inducendoli al delitto. Ma questo artista della distruzione non è autonomo: come quasi tutti ha un idolo, il principe Stavrogin, che ognuno vorrebbe eleggere a leader della propria causa. Stavrogin diviene il centro dei desideri perché sembra non desiderare niente, il che lo rende in apparenza superiore; solo chi non è contagiato dal delirio comprende lo squallore della sua impotenza sentimentale. Girard osserva che i romanzi veri finiscono con una disillusione e un riconoscimento della realtà prima velata dall’idolatria, ovvero con un ritorno dalla trascendenza “deviata” a quella “verticale”, autenticamente religiosa. Qui la grazia tocca in punto di morte a Stepan Trofimovic, il padre di Piotr. Come Karmasinov, in cui Dostoevskij satireggia Turgenev (“I demoni” è anche una risposta a “Padri e figli”), Stepan appartiene alla schiera di quei letterati che si sono crogiolati in un liberalismo parolaio e velleitario, e che con spavento vedono la generazione successiva trarre dai loro discorsi le conseguenze più estreme.

 

Sono vecchi ricattati dai giovani, che pateticamente cercano di blandire, secondo una prassi che sarà tipica del Novecento. E dagli anni 70 del suo secolo, Dostoevskij sa divinare perfino i particolari della politica dei “nostri” anni 70: si legga ad esempio il resoconto della riunione rivoluzionaria, archetipo perfetto delle assemblee d’istituto. Ma se condanna i distruttori vecchi e nuovi, lo scrittore non salva nemmeno gli slavofili a cui è vicino: Sciatov, socialista pentito, si dibatte a sua volta nella malafede idolatrica. “Egli era una di quelle creature ideali russe che vengono a un tratto colpite da qualche forte idea e rimangono lì, sul colpo, come oppresse dal suo peso” dice di lui il narratore. È un ritratto che si adatta a molti personaggi di Dostoevskij, e che se li rende grotteschi, spiega però anche la loro superiorità rispetto agli ideologi europei: nei russi, infatti, ogni teoria viene vissuta e scontata fino in fondo. Era soprattutto la descrizione di questa febbre ideale a infastidire Nabokov. Adelphi ha appena ristampato le sue “Lezioni di letteratura russa”, dove sostiene che i moventi assegnati da Dostoevskij ai suoi criminali sono confusi e generici. Ma “I demoni” dimostrano la ragione profonda di questo apparente errore. Ciò che più interessa all’autore è infatti la fenomenologia dell’istigazione, del plagio: cioè di un delitto sempre alimentato da un groviglio inestricabile di suggestioni, e destinato a dilagare in tutte le civiltà che essendo prive di una fede genuina non sanno né distinguere né domare le voci del sottosuolo. 
 

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