(grafica di Enrico Cicchetti) 

Una fogliata di libri

Gli oscuri aforismi dell'Oracolo traditi dalle troppe traduzioni

Rinaldo Censi

“La nuova edizione dell’“Oracolo” (Adelphi) cerca di rendere giustizia a questo testo affilato e complesso”

La prima edizione dell’“Oracolo manuale ovvero l’arte della prudenza” esce nel 1647 a Huesca, nella provincia di Aragona, in lingua castigliana. Si presenta come un libretto in-dodicesimo, tascabile e smilzo, facile da portare con sé e consultare, proprio come era avvenuto un secolo prima agli “Esercizi spirituali” di Ignazio di Loyola. Composto da trecento aforismi (settantadue hanno origine nei libri già pubblicati da Baltasar Gracián), sembra prendere alla lettera uno di questi, il numero 27, intitolato “Appagarsi più dell’intensità che dell’estensione”: “La perfezione non consiste nella quantità, ma nella qualità. Ciò che è molto buono è sempre stato poco e raro; il troppo scredita. (…) La sola estensione non ha mai superato la mediocrità, ed è un difetto degli uomini eclettici il voler tutto per poi nulla stringere. L’intensità conferisce eminenza, eroica se in materie sublimi”. Ecco qua, dunque, un libro intenso, eroico. A cui però non fa difetto la prudenza. Ad esempio, questa: Gracián utilizza il nome del fratello Lorenzo per firmarlo, onde evitare noie con la Compagnia di Gesù, di cui fa parte. 

 


La nuova edizione dell’“Oracolo”, pubblicata alcuni mesi fa da Adelphi, cerca di rendere giustizia a questo testo affilato, complesso, grazie alla nuova traduzione di Giulia Poggi che, in una nota, non si esime dal sottolineare la concisione e la concentrazione dei trecento aforismi; la difficoltà di trasporre questa prosa laconica, inintelligibile, ricca di tranelli, doppi sensi. Oscuri codici da decifrare. Un lungo saggio di Marc Fumaroli intitolato “Dall’ ‘Oráculo manual’ all’‘Homme de cour’” chiude il volume, circoscrivendo le vicissitudini legate alla storia del testo, comprese quelle della sua traduzione. A partire da quella francese, effettuata da Amelot de La Houssaye, pubblicata anni dopo, nel 1684, con il titolo modificato: “L’Homme de cour”. 


Norbert Elias, che considerava l’“Oracolo” un testo fondamentale, e l’aveva studiato proprio sull’edizione francese, lo considerava il primo manuale di psicologia di corte, “così come il libro di Machiavelli, ‘Il Principe’, fu il primo manuale classico di politica assolutistica di corte”. Il fatto è che nel testo spagnolo il termine “corte” non compare mai. Cos’è avvenuto dunque ai trecento aforismi, ancora oggi così attuali, indispensabili, quanto enigmatici? E’ accaduto che le numerose traduzioni succedutesi in Europa (fa eccezione quella italiana del 1670) sono state condotte sull’edizione francese, modificata da Amelot. Nel tempo, un florilegio di interventi traduttivi si sono succeduti, tradendo il senso di molti passi.

 

 

Per comprendere meglio questa migrazione testuale, le sue conseguenze, le incrostazioni di cui il libro è rimasto vittima, vale la pena segnalare il notevole saggio di Roger Chartrier, recentemente edito da Carocci, “Le migrazioni dei testi. Scrivere e tradurre nel XVI e XVII secolo”. Un capitolo è dedicato alle vicende dell’“Oracolo”. L’ottima edizione pubblicata da Adelphi cerca di fare ordine. Ma qualcosa sembra ancora oggi non tornare.  L’“Oracolo manuale ovvero l’arte della prudenza” si basa sull’edizione princeps spagnola (Cátedra, Madrid, 1995). Comprende la numerazione in sequenza degli aforismi, i titoli in corsivo. Ma, stando a Chartrier, la numerazione e i titoli erano assenti dall’originale spagnolo. Sono stati inseriti da Amelot. Dunque? E’ come se Gracián avesse accolto le modifiche di Amelot. Questo libro mirabile presenta ancora paradossi che avrebbero affascinato Borges.     

 

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