La fine della strada

Gaia Montanaro

La recensione del libro di John Barth (minimum fax, 292 pp., 17 euro)

In un certo senso io sono Jacob Horner”. In effetti il professor Horner, neoassunto al college di Wicomico per insegnare grammatica prescrittiva, è dotato di un’identità talmente fluida e indefinita che può definirsi Jacob solo in uno dei tanti sensi possibili. Affetto da una strana malattia della volontà – la cosmopsis – che rende in lui particolarmente acuta la consapevolezza dell’inutilità di qualsiasi azione, Horner vive una vita disfunzionale e dai risvolti in parte assurdi. Dotato di grande capacità di analisi, intuito e sensibilità intellettuale, viene spronato dal suo medico a uscire dalla propria paralisi esistenziale mettendosi all’opera come docente. “Sembra che non sappia mai accontentarmi dei soliti posti. C’è qualcosa di così… così assurdo nel lavorare solo per la paga. Bene, odio le frasi fatte, ma la realtà è che gli altri lavori sono semplicemente privi di gratificazione”. In questa nuova piega – o declinazione – che la vita di Horner sta prendendo, accade un incontro inaspettato, quello con il collega Joe Morgan e la moglie Rennie. Joe è l’opposto di Jacob: preciso, lineare, deciso; inquadra ogni decisione in una griglia, ogni azione nell’effetto che produrrà, portando all’eccesso una tendenza che spesso lo conduce a forzare la mano e piegare la realtà fino a fargli dire quello che lui pretende. A metà strada sta la moglie Rennie, donna debole e in parte succube del marito che considera quasi un Dio, qualcuno da non mettere mai in discussione. Jacob si pone esattamente nel mezzo della relazione tra i due, prima indotto poi per sua volontà, diventando l’amante di Rennie più per sfida intellettuale e compiacimento di un istinto di potere che per slancio emotivo ed erotico. La posta in gioco è sempre di tipo psicologico e mentale, è provare che si ha ragione, che la propria visione e percezione delle cose è quella più corretta. Non necessariamente la più aderente al reale, anzi. Per Barth reality is a drag, la realtà è un fastidio, una seccatura. In questo triangolo amoroso dal finale tragico tutti in fondo ricoprono dei ruoli, indossano maschere che ne determinano gli stereotipi e ne connotano l’agire. “Per gran parte del nostro tempo, se non sempre, siamo tutti dispensatori di ruoli, ed è saggio chi si rende conto che il suo dispensare ruoli è, nel migliore dei casi, un’arbitraria deformazione della personalità degli attori; ma è anche più saggio chi vede, oltre a ciò, che questo arbitrio è probabilmente inevitabile, e sembra a ogni modo necessario se uno vuol raggiungere il fine che desidera”. La scrittura di Barth, autore postmoderno che ha dato alle stampe questo romanzo per la prima volta nel 1958, procede in modo scarno e asciutto, grondando cinismo e disillusione in abbondanza. Ha però il pregio di indagare in modo profondo la psicologia e l’interiorità dei personaggi che mette in scena, spesso eccedendo nel filosofeggiare ma mai tradendo il senso profondo dei protagonisti. A cui poco si vuole bene ma di cui si comprendono le ragioni.

 


 

John Barth
La fine della strada
minimum fax, 292 pp., 17 euro

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