Libro di Hor

Edoardo Rialti

Recensione del libro Francesca Matteoni e Ginevra Ballati edito da Vydia (96 pp., 15 euro)

La propria regione. E’ questa che Flannery O’Connor esortava gli autori esordienti a ricercare, dentro e fuori di sé. Gran parte del proprio successo autentico – non editoriale ma artistico – sta appunto nell’individuare quei confini, nel comprendere da quale finestra possiamo effettivamente affacciarci sul mondo. Le opere di Francesca Matteoni, saggista, romanziera, poeta, di questa necessaria messa a fuoco sono esplicitamente e orgogliosamente consapevoli. La sua è una scrittura “appenninica” il cui ago “punta verso nord”, perché ci sono debiti e nessi tra località ed epoche che precedono e magari motivano i viaggi e gli studi. Cos’hanno in comune certi luoghi, libri, film, eventi? In astratto, niente, in concreto noi stessi. Così le pagine della Matteoni comprendono i monti del pistoiese e Odino, le camminate di Annie Dillard e i corsi d’acqua, foglie morte, ciuffi di piume già contemplati da Yeats, i tarocchi e fumetti, la sapienza proverbiale di Blake e l’auscultazione sanguigna di Pavese. Queste poesie, cui si accompagnano le belle opere di Ginevra Ballati, chiedono una lettura complessa, stratificata, che vada avanti e indietro, proprio come “il tempo-radice” che menziona e contrappone alla superficialità dimentica sulla quale scivoliamo e arranchiamo quotidianamente. Qui invece le cose segrete sono “intime”, nel senso appunto di celate e al tempo stesso vicine, come una voce che ti mormori all’orecchio, o una mano che stringa improvvisamente la tua, una dimensione “dove non sai finché non tocchi”. La terra tutta è una creatura femminile dove “cammineremo soli, sulla sua schiena” cui fa specchio anche la casa del corpo che ciascuno abita. A una prima sezione che raccoglie i movimenti di un enigmatico io lirico segue la svolta d’una “grande mappa geografica di mostri”, una galleria di figure espresse con altra cadenza, “quattro prose, inattese, che lanciano il testo su territori nuovi e scombussolano ogni certezza acquisita” scrive Vanni Santoni nella prefazione, “quattro prose, di virulenta forza immaginifica (se c’è un ulteriore dark heart of the wood all’interno di questo libro, una parte pulsante e palpitante e più viva del resto, è proprio questa), che danno significati e direzioni nuove a ciò che si è visto e annunciano con un tremito ciò che ancora è da vedere”.

Come sempre in poesia, i versi più densi (“Ingoio una stella di gomma e rancore”) non si spiegano o commentano. Vi si sosta e ritorna, per attingervi una saggezza (“Queste sono storie a cui nessuno crede, ma tutti hanno paura”), magia (“fai un foro in una lucerna segmento rimargina, sputa”) verità di passato e futuro (“Siamo arrivati fin qui, ma tu non sei con me, devi apparire dagli anni come un indovinello”) che superano tutto ciò che sappiamo dirne o trarne, perché hanno il semplice, inesorabile sentore delle cose vere. Sono uno spazio e un tempo nel quale è bene avere la disponibilità di restare e lasciarsi cambiare e levigare come i ciottoli scuri dall’acqua fredda dei ruscelli. 

 

Libro di Hor
Francesca Matteoni e Ginevra Ballati
Vydia, 96 pp., 15 euro

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