L'Imaginifico

Roberto Paglialonga

Recensione del libro di Maurizio Serra edito da Neri Pozza (719 pp., 25 euro)

Alle volte, ci si chiede cosa farebbe lui qui, oggi. Si sa, è un giochetto maldestro, antistorico, e tuttavia è una tentazione ghiotta quando sotto la lente finiscono i più grandi. Dunque: un Hamilton della Formula 1, cannibale di velocità in pista, star del jet-set fuori; un leader bulimico e affamato di potere alla ricerca di un continuo riconoscimento da parte delle masse; magari anche uno scrittore-influencer da Instagram. Gabriele D’Annunzio sarebbe tutto questo, o forse nulla. Del resto, la sua lirica tensione verso il grande ideale mal si sposerebbe con un mondo che crede ormai a qualsiasi cosa pur di ottenere il puro arricchimento delle tasche, e lo renderebbe inattuale e indigesto a tanti benpensanti, di una parte e dell’altra, come ai molti insegnanti – Dio li perdoni – che già lo hanno espunto dai loro programmi didattici perché “inopportuno”, preferendogli autori con una valenza “più sociale”. E’ il “demone del dualismo”, che dopo aver posseduto il Vate lungo tutto l’arco dell’esistenza, si trasporrebbe tel quel in questi nostri anni. Quello che è certo è che tutto quanto – o quasi – rappresenta la modernità, lui lo aveva anticipato. Maurizio Serra a quel demone ha dedicato buona parte delle proprie ricerche, e ora su D’Annunzio ha steso una biografia sontuosa, che con equilibrio letterario, profondità storica e linguaggio colto – le oltre 700 pagine si leggono come un romanzo – delinea l’uomo come forse nessuno era riuscito a fare prima. Un “diavolo d’uomo”, come disse la danzatrice Ida Rubinstein. Non, dunque, l’amatore per il quale le donne erano delle “nemiche necessarie” e che oggi farebbe rabbrividire, bontà loro, le vestali del #MeToo, scisso dal combattente nazionalista artefice della Carta del Carnaro, dal bardo o dall’accumulatore seriale di chincaglierie più o meno pregiate del Vittoriale. Ma l’uomo tutto intero, con la sua dose preminente di personaggio: viveur ma spesso asceta, nietzschiano eppure ammiratore di san Francesco, tanto per dire. Serra ci ha già abituato a imprese simili, e un po’ ci ha preso gusto. La sua trilogia su tre grandi italiani dell’Otto-Novecento, Malaparte, Svevo e ora D’Annunzio, è stata pubblicata – con un’operazione per l’appunto un po’ dannunziana – dapprima in Francia, e ha già mietuto successi prestigiosissimi e meritati: Goncourt de la biographie per Malaparte. Vite e leggende, Prix Chateaubriand e Prix des Littératures per L’Imaginifico. Vita di Gabriele D’Annunzio, appena uscito anche in italiano.

La vita è impossibile da spezzettare, dunque. Vale a maggior ragione per il “lupacchiotto della Majella”, cosmopolita eppure sempre, naturalmente, abruzzese. Che fu, nella sua “multianimità”, inesorabilmente e unicamente, un poeta (profeta) dell’azione. Accecato dalla Bellezza e nemico della mediocrità.

Un vitalista – in fatale concorrenza con i più ombrosi Pascoli e Carducci, e precursore addirittura di un certo Pier Paolo Pasolini – cui, per essere pienamente accettabile ai moderni, mancano la metafisica, la memoria e il senso del male. Come ci starebbe lui allora qui oggi, non è dato sapere. Ma quanto ci piacerebbe. Se non è “Imaginifico” uno così…

 

L'Imaginifico - Vita di Gabriele D'Annunzio
Maurizio Serra
Neri Pozza 719 pp., 25 euro

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