Contro l'empatia. Una difesa della razionalità

Federico Morganti

di Paul Bloom, Liberilibri, 312 pp., 18 euro

L’empatia gode quasi universalmente di buona stampa. E’ presente nelle parole dei politici, ed è oggetto delle ricerche di psicologi e scienziati cognitivi (senza dimenticare un primatologo come Frans de Waal) interessati a esplorare le basi del nostro senso morale. L’assenza di empatia è associata a qualcosa che somiglia a indifferenza, cinismo, se non crudeltà. Se tutti fossimo più empatici, il mondo sarebbe un posto migliore. Ma quanto è utile, per non dire necessaria, la capacità di “mettersi nei panni degli altri” nel risolvere i problemi, o gestire le relazioni con le persone?

 

Al di là di un titolo particolarmente aggressivo, quella di Bloom “è una posizione radicale, ma non così estrema”. Se il nostro concetto di empatia è sinonimo di moralità, compassione, gentilezza, difficile argomentare contro di essa. Se lo prendiamo nel suo significato più ristretto e autentico e la intendiamo come la capacità di fare nostri il punto di vista e i sentimenti degli altri, le cose cambiano. L’empatia spinge a privilegiare coloro con cui si ha un contatto immediato, a sfavore di chi è sottratto alla nostra attenzione. Un eccesso di empatia può condurre all’incapacità di agire, può suggerire una scelta di cuore, anche laddove ne occorre una di cervello. E ciò non sempre è un bene. In sede sperimentale le persone possono essere indotte a far avanzare una bambina nella lista d’attesa per l’accesso a un trattamento se gli è data la possibilità di conoscere la sua storia e immedesimarsi nel suo punto di vista, anche se ciò significa scavalcare altri soggetti (di cui non si sa niente).

 

E la politica, a sinistra come a destra, cavalca questo genere di sentimentalismi per indirizzare l’attenzione del pubblico verso questo o quel gruppo. E’ facile giustificare il salvataggio di aziende decotte, raccontando dei lavoratori che rischiano il licenziamento e delle famiglie le cui vite ne sarebbero colpite; più difficile illustrare i danni distribuiti di una simile scelta e quelli che derivano dal dare alla politica tale facoltà, perché i soggetti che ne sono colpiti sono lontani, talvolta non ancora nati. Insomma, troppa empatia significa scelte precipitose nel privato, elettori manipolabili nel pubblico. Meglio coltivare un distaccato senso di compassione e premura per gli altri, supportato dalla ragione e dall’analisi costi-benefici.

 

Una celeberrima canzone di Phil Collins (“Another Day in Paradise”, 1989) descriveva la scena di una mendicante che chiede aiuto a un passante per la strada, che se ne va imbarazzato facendo finta di non averla sentita.

 

Con Bloom scopriamo che, forse, da parte dell’uomo non c’era indifferenza, ma l’esigenza di dare aiuto agli altri seguendo delle regole: il non elargire donazioni se non si sa dove finiscano quei soldi, o affidarsi a mediatori di cui si conosca il valore. Una scelta che non ha a che fare con l’egoismo, ma con l’essere certi che il proprio altruismo sia efficace.

 


 

Paul Bloom

Contro l'empatia. Una difesa della razionalità

Liberilibri, 312 pp., 18 euro

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