Alfonso il Magnanimo

Maurizio Schoepflin

Giuseppe Caridi
Salerno, 372 pp. 25 euro

Di corporatura fragile, pallido in volto, di aspetto gioviale, naso aquilino, occhi vispi, capelli neri, che tuttavia incominciavano a incanutirsi, e tesi verso le orecchie, di media statura, molto sobrio nei pasti e nelle bevande, non bevendo vino se non mescolato con molta acqua”: così Enea Silvio Piccolomini, il grande umanista che sarebbe diventato Papa col nome di Pio II, descriveva Alfonso il Magnanimo, allora non lontano dai sessant’anni d’età. Dunque, in quell’uomo, a un fisico non particolarmente robusto andava unita un’anima generosa, che ne costituiva la caratteristica distintiva, meritandogli il soprannome con cui è passato alla storia. Egli manifestò tale magnanimità soprattutto nei confronti di intellettuali e studiosi, e ciò, unitamente ad altre notevoli qualità, fece di lui, come afferma Giuseppe Caridi in quest’ottima biografia, “uno dei principali protagonisti della politica europea dell’ultimo secolo del Medioevo”. Alfonso nacque nel 1396 nella città spagnola di Medina del Campo, ma trascorse gran parte della sua esistenza in Italia, morendo a Napoli nel 1458. A vent’anni successe al padre sul trono d’Aragona, il regno che comprendeva anche la Sicilia e la Sardegna. I problemi che il giovane sovrano si trovò dinanzi erano numerosi e complessi, determinati soprattutto dalle difficili relazioni intercorrenti con le altre potenze, tra cui la chiesa, il regno di Castiglia, la Repubblica di Genova e la Francia. Nel 1421 la regina di Napoli Giovanna II, priva di prole, lo adottò, promettendogli il trono. La promessa non venne poi mantenuta ma, alla morte della sovrana, Alfonso partecipò vittoriosamente alla guerra di successione e nel febbraio del 1443 entrò trionfalmente in Napoli. Il nuovo re fece della città partenopea una capitale splendida, giovandosi, come si è accennato, dell’opera di alcuni tra i maggiori artisti e tecnici dell’epoca, e sebbene ripetutamente invitato a tornare in Spagna, non si allontanò mai da essa, anche perché lì vivevano i suoi figli e nipoti e una giovane nobildonna alla quale era fortemente legato (ancora oggi gli storici spagnoli tendono a giudicare negativamente questa scelta di rimanere assente dai possedimenti iberici). Non facili furono i rapporti di Alfonso con il papato, anche a motivo del sostanziale disinteresse da lui mostrato nei riguardi del desiderio pontificio di organizzare una crociata. Eppure, assai evidente fu la sua adesione al cattolicesimo: ogni giorno prendeva parte a ben quattro messe, leggeva assiduamente la Sacra Scrittura, prediligeva lavare i piedi ai poveri, non trascurava di fare opere di carità e amava giudicare gli altri con equità e generosità. Assai morigerato nei costumi, si racconta che una volta si prese gioco di alcuni diplomatici senesi che indossavano abiti molto appariscenti.

Meno sobrio Alfonso si dimostrò in fatto di appetiti sessuali: i suoi biografi ci informano che morì a causa di una malattia venerea, contratta probabilmente in occasione di una delle non poche scappatelle che amava concedersi.

 

ALFONSO IL MAGNANIMO
Giuseppe Caridi
Salerno, 372 pp., 25 euro

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