recensioni foglianti

La sottovita

Antonio Gurrado

Francesco Savio
Mondadori, 105 pp., 16 euro

Gli autori dei libri su come avere successo nella vita da genitori, per scrivere bestseller, devono avere uno staff che segua la prole, sparecchi, raccatti giocattoli dal corridoio. Al protagonista de La sottovita viene in mente questa considerazione mentre, con la moglie, rassetta la cucina dopo la cena dei figli piccoli e si sente in dovere di provare, quando si saranno addormentati, a dedicare alla scrittura il paio d’ore residuo. Non ce la fa però: è troppo stanco per portare avanti le idee che appunta furtivo nel corso della giornata di lavoro, troppo stanco per continuare il romanzo iniziato nel primo capitolo, in cui un uomo a spasso per l’Alto Adige viene travolto da una vacca delle Highlands. E’ stato materassaio e venditore di elettrodomestici Ariston, ora è commesso in una libreria Feltrinelli – il suo lavoro è sempre consistito nel vendere ciò che fa rilassare gli altri consentendo il sonno, la pulizia, la lettura. “L’obiettivo della mia vita”, scrive, “sarebbe stato lavorare solamente una parte del giorno”, conservando l’altra per scrivere; la stanchezza però, la responsabilità, la famiglia erodono pian piano il tempo dilazionando i suoi desideri (“adesso sì, erano tutti così futili ed egocentrici”) e lasciandogli le ultime energie notturne per guardare scampoli di partite di calcio prima di crollare. E’ questa la sottovita cui il protagonista e sua moglie temono di essere condannati: Savio però ha il grande merito di avere scartato la facile strada della lamentela e l’ancora più facile ironia dozzinale sul contrasto fra ambizioni e domesticità per fornirci, con un sorriso dolce e mesto, una disamina dell’equilibrismo fra i contrastanti amori per la famiglia e per la letteratura. Il protagonista è consapevole di essere un Bianciardi disinnescato. Come lui giunge a Milano all’astratta ricerca di un personale torracchione da far saltare in aria ma subito si ricrede, quando un improvvido aviatore dilettante si schianta nel Pirellone: il mondo è terrorizzato dagli islamisti, tutto viene interpretato in chiave geopolitica e non c’è più spazio per l’espressione della rabbia individuale, che va ingoiata e repressa. Sedici anni dopo è ancora lì, padre ammirevole e marito fedele, mentre vigila a che i figli non vadano soggetti a “sottomisure d’infelicità” (struggente il capoverso sul destino delle banane lasciate a metà dopo la merenda) e trascorre le giornate da “spettatore casuale sebbene direttamente coinvolto”, allo stesso modo del personaggio del suo romanzo, abbandonato disteso sul prato altoatesino dopo che la vacca è passata, mentre rimira il cielo pensando al romanzo-fiume di Karl Ove Knausgård sulla morte del padre. Non si alzerà mai. Il protagonista de La sottovita, anziché scrivere, cercherà di leggere Knausgård prima che gli occhi si chiudano, in attesa di un’altra giornata in cui qualche manager rampante entrerà in Feltrinelli alla ricerca di un libro su come diventare leader e se ne andrà senza salutare né ringraziare perché si sente già leader dentro di sé.

 

LA SOTTOVITA
Francesco Savio
Mondadori, 105 pp., 16 euro

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